News | mercoledì 16 novembre 2011

Intervista al Presidente Aniello Fioccola

Intervista di Diana D’Ambrosio
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Abbiamo incontrato Aniello Fioccola, presidente della “Orientexpress” edizioni, piccola casa editrice nata nel cuore di Napoli portata avanti dalla passione dei dottorandi, i laureati, i professori e gli studenti dell’università L’Orientale di Napoli.
In un momento di crisi, in un mondo alla ricerca del “soldo facile”, dove la tecnica e la scienza hanno preso il sopravvento, la sensibilità e la ricerca del bello attraverso la letteratura sembra, fortunatamente, non essersi assopita.
”Orientexpress” cerca di dar voce ai giovani scrittori, a coloro che aspettano di poter pubblicare il loro manoscritto, ma che sono scoraggiati dagli intricati ingranaggi dell’editoria italiana.
Fioccola ci spiega cosa significa dirigere una piccola casa editrice, quali e quanti tipi di difficoltà deve affrontare chi si lancia in questo tipo di progetti e dà dei piccoli consigli a coloro che hanno il famoso manoscritto nel cassetto.


Ci parli del progetto di “Orientexpress” come, quando e perché è nato?

Vorrei iniziare parlando del dove: se si volesse individuare un luogo preciso per la nascita di questo progetto, si potrebbe indicare l’antica scuderia di Palazzo Corigliano, sede storica dell’Università “L’Orientale”. Proprio qui per diversi anni si è tenuto il corso di “Storia delle Religioni” del professore De Sio Lazzari. In questo spazio, situato al di sotto di piazza San Domenico, caratterizzato dall’atmosfera di quel romanticismo poetico inglese, un po’ sotterraneo e un po’ solitario, alcuni studenti si sono trovati a discutere soprattutto di letteratura durante le lezioni e a volte anche dopo. Per farsene un’idea basti pensare al film L’attimo fuggente, dove un gruppo di giovani scopre la passione per la poesia e la letteratura. Ecco perché nasce “Orientexpress”, per dare seguito a questa passione: nel 2005 si decide di farlo in maniera ufficiale dando vita a una casa editrice che ha come obiettivo principale la promozione del “libro” in tutte le sue sfumature. In quella che Gillo Dorfles definisce “la società dell’horror pleni”, in cui siamo sommersi da una quantità insostenibile di messaggi massmediatici e dove l’ipertrofia segnica non lascia più spazio all’essenziale, noi crediamo che i libri siano l’ultimo bastione in grado di esprimere la realtà e darle senso. Difendere questo bastione è la nostra missione.


Cosa significa portare avanti un progetto del genere? A che tipo di difficoltà andate incontro ogni giorno?

La difficoltà fondamentale per una piccola casa editrice è riuscire a individuare gli spazi di visibilità. Ovviamente tutto è nelle mani dei mezzi di comunicazione: in primis la televisione, ma può ben capire quanto sia improbabile che ci sia spazio per noi nelle poche trasmissioni di argomento letterario; lo stesso vale per i grandi giornali o le riviste specializzate più importanti, che prediligono parlare soltanto di autori di successo. Il web rappresenta una soluzione importante, e questa intervista, per esempio, può fare da volano per la conoscenza di noi e del nostro lavoro. Il mondo editoriale negli ultimi anni è in continua evoluzione, e la sfida consiste nel saper prevedere in che direzione andrà, facendo la scelta giusta.
D’altro canto gli scaffali delle librerie sono pieni; ogni anno in Italia si pubblicano circa 50 mila nuovi libri, e i librai, di fronte a questa cascata di testi, devono necessariamente fare una scelta. La difficoltà in questo caso sta nel fatto che il libraio preferisce esporre il grande autore piuttosto che la giovane promessa. Gli e-book, in questo senso, possono forse far aggirare l’ostacolo.


Qual è la situazione dell’editoria italiana e che spazio vi possono trovare al suo interno i giovani scrittori?

Partiamo dal presupposto che l’economia italiana sta attraversando un periodo di grave crisi e quindi anche il mercato dei libri ne risente. Tuttavia Marco Polillo, presidente dell’Associazione italiana Editori, all’ultima Fiera del libro di Francoforte ha segnalato dati di crescita per l’editoria italiana: aumenta il fatturato degli e-book e c’è un leggero aumento nella vendita nei primi mesi del 2011. Non dimentichiamo che le librerie tradizionali restano il canale di vendita privilegiato e che il prezzo medio dei libri in Italia è tra i più bassi in Europa.
I giovani scrittori hanno sicuramente grandi prospettive di pubblicazione là dove i loro libri siano di qualità, ma devono sapersi guardare attorno e fare attenzione: mi riferisco a quegli editori che accettano di pubblicare dietro il pagamento di grosse somme da parte dell’autore.

Voi siete contro l’editoria a pagamento? Se sì, che tipo di garanzie offrite a chi vuole pubblicare con voi e a che tipo di collaboratori vi affidate per l’editing dei manoscritti?

Siamo assolutamente contro l’editoria a pagamento. A chi scrive dico di non scendere a questi patti, ogni parola del proprio manoscritto, che a volte richiede mesi e mesi di letture, riletture e correzioni, è parte di sé e non va svenduta. La scrittrice Cristina Campo, che in vita pubblicò soltanto due brevi testi, in Parco dei cervi afferma: “Scrivo perché certe cose non vogliono separarsi da me come io non voglio separarmi da loro. Nell’atto di scriverle esse penetrano in me per sempre – attraverso la penna e la mano – come per osmosi”. Tradire la propria scrittura è tradire se stessi.
La garanzia che offriamo è la nostra correttezza e professionalità. Dopo la pubblicazione, organizziamo presentazioni, reading e partecipiamo alle fiere di editoria indipendente.
I nostri collaboratori sono laureati e dottorandi de “L’Orientale”, i quali si occupano di letteratura in forme diverse: alcuni sono essi stessi scrittori, altri invece sono grandi lettori.


Un recente sondaggio ha sbugiardato il luogo comune secondo il quale in Italia i giovani non leggono: lei, in quando presidente di una piccola casa editrice, cosa pensa in merito e soprattutto che tipo di operazioni ritiene adeguate per avvicinare gli italiani alla lettura e per orientarli verso le piccole case editrici?

È vero. Gian Arturo Ferrari, presidente del “Centro per i libri e la lettura”, il 23 marzo 2011 ha presentato i dati del Rapporto sull’acquisto e la lettura dei libri relativo all’ultimo trimestre 2010: in Italia sono ci sono 17 milioni di persone che hanno acquistato almeno un libro ( il 60% è narrativa), in maggioranza tra i 24 e 35 anni (questo è un riscontro confortante); un altro dato interessante è che i classici sono letti soprattutto dai giovanissimi (14 – 19 anni) del Sud. Tuttavia bisognerebbe tenere conto anche dell’aspetto qualitativo: non sono necessari i dati ufficiali dei centri di ricerca, ma, per esempio in treno, basta dare uno sguardo alle copertine di chi legge e ci si rende conto che spesso a farla da padrone sono i fenomeni letterari veicolati dai media.
Che cosa fare? Mi permetta di citare un’esperienza personale. Credo che un ruolo decisivo lo possa giocare la scuola. Molto spesso gli insegnanti di Italiano propongono agli alunni la lettura di romanzi per favorirne l’abitudine e suscitare in loro l’interesse alla letteratura. Tuttavia a volte hanno l’effetto contrario. Ricordo che al Liceo la mia professoressa di Italiano ci fece leggere Il podere di Federigo Tozzi. Tutto il rispetto per questo libro “claustrofobico” che ho imparato ad apprezzare molti anni dopo, ma è inconcepibile che a un quattordicenne si proponga di leggere un romanzo del genere. A volte alcuni docenti liceali non si rendono conto di avere di fronte giovani menti aperte che hanno bisogno di spazi immaginari infiniti, questo può avere conseguenze nefaste.
Leggere qualsiasi opera di Hermann Hesse a quell’età avrebbe avuto risultati differenti.
All’università “L’Orientale” ho vissuto un’esperienza totalmente diversa, con molti docenti che mi hanno iniziato alla lettura di autori, fondamentali per la mia crescita intellettuale. Il corso di Estetica del professore Moretti, per esempio, è stato una vera e propria “scuola di lettura creativa”: ho imparato ad apprezzare i romanzi di Conrad, che prima di allora non mi avevano mai entusiasmato; ora è tra i miei autori preferiti.
Quindi è l’istruzione pubblica che deve fare il primo passo e formare il “buon lettore”.


L’appoggio delle istituzioni è importante? Se sì, in che modo vi possono aiutare?

Le istituzioni potrebbero finanziare tanti progetti e dare la possibilità di intervenire anche a noi piccole case editrici. In tutti i grandi eventi invece siamo tagliati fuori perché c’è spazio solo per i grandi marchi. Da qui nasce l’esigenza di manifestazioni e fiere dedicate all’editoria indipendente.
A Napoli per esempio c’è la rassegna della piccola editoria L’Altrolibro, che quest’anno ha raggiunto l’ottava edizione e che cresce sempre di più.


Cosa consiglia a chi ha il suo manoscritto nel cassetto e desidererebbe pubblicarlo un giorno, ma è scoraggiato dalla situazione attuale dell’editoria italiana?

Consiglio di non arrendersi di fronte ai primi rifiuti o alle mancate risposte delle case editrici, che spesso hanno già in programma altre pubblicazioni e quindi non trovano spazio per una nuova uscita. Un buon testo, prima o poi, riesce sempre a trovare un interstizio che lo conduce al mare magnum dei testi pubblicati. Del resto chi scrive è sempre un buon metro di se stesso e sa quanto vale il proprio manoscritto.
In ogni caso dico ai più giovani di continuare a lavorare sui propri testi: bisogna prendersi cura della propria scrittura. Albert Camus, in un appunto del ’36 raccolto in Taccuini, annota “devo scrivere come devo nuotare: è il mio corpo che lo esige”; la scrittura è un’esigenza viscerale alla quale non si può fare a meno di rispondere, nasce sempre da una necessità, che però è indipendente dalla possibilità di pubblicazione. Chi nell’atto della scrittura pensa alla futura pubblicazione è semplicemente un produttore di testi, non siamo più nell’ambito della letteratura ma della tecnica, e come scrive Cristina Campo “nella letteratura, come nel rapporto fra le persone, tutto muore non appena affiori la tecnica”.


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