Squarci | venerdì 1 luglio 2011

Diego Fabi

Il corvo e la luna

Quella notte il corvo danzava e cantava sul ramo di faggio. Le piume a proteggergli il corpo dal freddo erano nere e lucide.
L'aria era rada, immobile, il vento sembrava essersi dimenticato di se stesso.
Altri uccelli erano ancora vigili su numerosi alberi tutt'intorno ma non danzavano come il corvo, non suonavano allegre melodie come nei giorni caldi dell'amore.

Era un tempo lontano, tanto distante che solo gli alberi più duri e nodosi ne hanno un vago ricordo. Era un tempo in cui il corvo danzava sul faggio e cantava salmi d'amore... nonostante l'inverno.
Era un tempo in cui la luna era troppo vicina alla terra, tanto tonda e luminosa da far echeggiare il suo pallore in ogni dove: persino nel cuore di corvo.

Vibrava come diapason il solo essere lì presente, la luna, donando quella nota accordatrice di pentagrammi emozionali, donando quel La che dirigeva l'orchestra dei battiti di cuore del corvo.
Oh luna cantava egli con voce di flauto oh Luna, e null'altro gli riusciva di dire.

E la chiamò, la chiamò mille volte mille!

Venne dunque il momento in cui essa sparì al di là dei più alti monti.
Nei giorni a venire il corvo attendeva odiando il Sole: quella sola e unica nota di pallore che faceva vibrare il petto e le note più belle volavano al cielo.
Lentamente la luna prese a celare il volto mentre il corvo straziava sempre più la voce gentile.
Altre tante notti scivolarono grame: il corvo danzando e cantando la luna sparendo.
L'ennesima notte, come le sei ancora a venire, fecero del nero pennuto orfano dell’astro. Per quanto urlasse il suo nome Oh Luna, oh Luna! lei non comparve. Il corvo si lasciò andare alla morte, la riconobbe sua simile.

Quando la Luna riprese il vagare da osservatrice del mondo notò immediatamente l'assenza del corvo. Gettando un occhio ai rami di faggio vide le nere piume immobili e capì il dolore della perdita, pianse anch'ella il lutto del canto più vero, più soave che mai aveva ascoltato nel suo viaggiare.

In quel tempo tanto lontano anche la luna conobbe il dolore. Urlò, urlò tanto forte che il rivo s'ingrossò di colpo, il vento divenne tornado, gli uccelli tutti impazzirono, il faggio si spogliò di tutte le foglie celebrando nudo il lutto.
Resta con me gli disse la Luna non lasciarmi! implorò la Luna: Cosa sarà senza te la mia notte?!

E ancora una lacrima di cristallo cadde, l'ultima lacrima che l'astro aveva nelle sue invisibili pupille scivolò sul becco del corvo.



Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.