Squarci | sabato 25 giugno 2011

Francesco Olimpico

La vecchia

Raccontami una storia, disse sussurrando la bambina e la vecchia seduta in disparte iniziò.
"Era di marzo, la pioggia scendeva fitta e una leggera nebbia rendeva tutto più etereo e lontano."
La vecchia parlava sottovoce, aveva la testa bassa e le rughe, disegnate dal tempo, rendevano il suo viso un'immagine d'altri tempi. La bambina sedeva accovacciata sui gradini, aveva gli occhi neri, d'un nero profondo e lucido. Il mento liscio e tondo poggiava sulle sue piccole mani. Le labbra erano socchiuse, il respiro lento. Come sospesa ascoltava le parole della vecchia.
La vecchia continuò.
"Giulia guardava la città lontana e le mille luci che la nebbia rendeva soffuse, prive di alcun contorno. Sua madre intanto preparava la cena. Il profumo delle spezie diffondeva ovunque e saliva su per le narici a nutrire sogni lontani. Giulia d'un tratto chiuse gli occhi, ingoiò distratta la saliva e le sue dita carezzarono le labbra come a zittire la paura che divampa. Era di marzo, la nebbia rada e bianca lasciava intravedere un'ombra."
La vecchia, sentendo il cuore salirle in gola, si fermò. Sfiorò il viso della bambina e dopo aver ripreso fiato continuò.
"L'ombra si avvicinava, diveniva più piccola. Il buio ingoiava il nero che la vestiva. Si avvicinò alla finestra e scrisse su quella patina d'acqua sottile che il vetro tratteneva, le parole Ti amo.
Giulia intravide solo le dita che scivolavano sul vetro. Sua madre ruppe il silenzio che l'aveva allontanata dal tempo. La chiamò e il suo nome riecheggiò nella stanza, una e più volte ancora. Giulia si svegliò da quel sogno, carezzò le parole disegnate sul vetro e lasciò andar via l’ombra senza chiamarla, senza guardarla.
L'ombra si vestì di nuovo del nero della notte e avvolta dalla nebbia lasciò dietro di sé solo una lunga scia di pensieri."
Continua, ripeté la bambina. La vecchia si schiarì la voce e disse: ora sono stanca, torna domani, mi troverai qui, e finirò di raccontarti questa storia.
La bambina provò a insistere, si aggrappò alla gonna lunga della vecchia e con uno sguardo come ce ne sono pochi continuò a insistere senza pronunciar parola.
La vecchia chiuse gli occhi e ingoiò le sue ultime parole, i suoi ultimi ricordi. Tornò il silenzio.
Sono tornata, disse la bambina l’indomani, torna a raccontarmi la tua storia, raccontami di Giulia.
La vecchia aprì gli occhi e un azzurro terso le illuminò il viso.
"Giulia calcò più volte le linee lasciate dall'ombra. Lasciava le sue dita scorrere sul vetro e i suoi pensieri riempire gli spazi tra le parole Ti amo".
Era di maggio, la notte era una cupola sorretta da stelle. L'aria era ferma, faceva caldo. Giulia guardava le stelle. Giulia sognava le stelle.
I vetri erano di nuovo tele bianche. Le parole "Ti amo" erano andate via con la rugiada, era rimasto solo un leggero alone, come un'eco lontano, poi anche quello era andato via.
Era di maggio, la notte era silenziosa. L'ombra tornò. Si spogliò del nero che la disegnava e scrisse ancora sul vetro.
La vecchia esitò e la bambina gridò: "E poi? Cosa c'era scritto sul vetro?". La vecchia prese fiato e disse "Ancora ti amo.
L'uomo, illuminato dalla luce delle stelle, vide riflesse le sue labbra sul vetro. Era di fronte la sua Giulia, la guardò come aveva fatto nei suoi sogni, si vestì di nuovo del suo mantello d'ombre e si perse nella notte.
Giulia attese, attese uno sguardo in quella notte di stelle. Sognò quelle labbra, sognò un corpo che potesse appartenerle. L'indomani si svegliò presto, vide sorgere il sole all'orizzonte. Il sogno della notte le tornò in mente e l'immagine di Marco si fece nitida e densa di colori.
E l'infanzia divorò il tempo. Tornarono i giorni d'estate all'ombra di un ulivo a prendersi gioco della fantasia, tornarono le risa, le corse forsennate, tornarono le arrampicate sugli alberi e le lunghe chiacchierate sospesi a mezz'aria nascosti tra le foglie.
E l'infanzia divorò il tempo. Giulia riconobbe quelle labbra, un tempo appena pronunciate, piccole e rosse come ciliegie. Ebbe voglia di baciarle.
Giulia attese scendesse ancora la notte per incontrare quell'ombra che le ricordava l'infanzia.
Era di maggio, l'ombra tornò in una notte priva di stelle, in una notte silenziosa come poche, rischiarata solo da una luna rossa. Si avvicinò ancora alla vecchia finestra, soffiò sul vetro e disegnò le sue ultime parole sul respiro che il vetro trattenne, avido."
La bambina ascoltava con gli occhi spalancati, grandi e neri. La vecchia la guardò con nostalgia e restò per qualche attimo in silenzio. La bambina tirò ancora il vestito della vecchia, gli occhi chiedevano di svelare la fine di quella storia, le labbra socchiuse trattenevano il respiro.
La vecchia prese fiato e pronunciò sottovoce le parole che l'ombra aveva disegnato "Vuoi sposarmi?".
La bambina schiuse le labbra, sorrise, poi a voce bassa chiese…"e Giulia?"
La vecchia tacque, prese la mano della bambina, dischiuse con le dita ruvide e tremanti il palmo della sua mano e descrisse dapprima un serpente e poi…una piccola breve linea dritta. "Sì" era la risposta di Giulia…
La bambina sorrise ancora e poi sottovoce ripeté, raccontami una storia e la vecchia ricominciò.


Su Francesco Olimpico
Nato a Nola il 15 marzo 1978, si è laureato nel 2002 in "Biotecnologie Farmaceutiche" presso l' Università "Federico II" di Napoli. Ora vive e lavora in Toscana, ama viaggiare e raccontare tutto ciò che per una surreale osmosi arriva alla sua mente.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.