Squarci | domenica 8 maggio 2011

Annarita Lamberti

Tu mi curi e mi redimi


Ero in giardino quando ti ho visto salire di sopra in tutta fretta. Non hai neanche guardato in giro nel soggiorno per cercarmi. Sei andato dritto al piano di sopra. Non sapevo che fare: venire su da te? lasciarti stare? aspettare? aspettarti?
Ho scelto per quest’ultimo comportamento anche se, lo sai, mi costa molto.
Non era mai successo prima d’ora che, tornato a casa, non mi cercassi, di solito mi chiami: “Hanah, dove sei? Hanneleh, dove ti sei nascosta?”
Di solito sei di buon umore e mi cerchi. E mi baci.
Stavolta sei entrato in silenzio e guardavi solo diritto davanti a te.
Ho pensato immediatamente che fosse colpa mia. Ma non riuscivo a immaginare che cosa potessi avere sbagliato o detto di male, che avesse potuto offenderti o ferirti a tal punto da rendermi invisibile, no, da non volermi vedere.
Me ne sono rimasta in giardino, cercando di dedicarmi alle piante, ho strappato qualche foglia secca, ho dato l’acqua al basilico, ho cercato quadrifogli inutilmente: pare che non si trovino quando si è tristi. E io lo ero, infinitamente.
La tristezza dopo un mese di paura costante che potesse succederti qualcosa e che non tornassi più, non solo da me.
“Un sorriso per i nostri soldati”. Mi sono arrivate spesso mail con questo oggetto nell’ultimo periodo. Posso anche sorridere ma la verità é che non vorrei essere chiamata, costretta, a sorriderti mentre sei un soldato anche tu. I miei sorrisi e le mie carezze sono sempre pronta a darteli, ma non sopporto di vederti in divisa per quanto ti stia bene. Sei bello come il sole.
“Sta’ tranquilla, per la maggior parte del tempo sono in sala operatoria”.
Questo avrebbe dovuto tranquillizzarmi? Perché dov’è che avete messo la sala operatoria? In un bunker sotterraneo? In Svezia? Su un altro pianeta?
Sei esposto anche tu, in misura diversa ma non necessariamente inferiore per la maggior parte del tempo e, poi, c’è quella minore: cosa succede nella minor parte del tempo?
Quando mi hai detto che partivi mi sono passate per la mente le immagini di Kippur, per la maggior parte terrifiche, ma una mi teneva in vita. Lo sai, quella finale: lui torna e fa l’amore con la sua donna e cancellano la guerra con i colori della vita. Subito, appena messo piede in casa.
Tu, invece, sei tornato e sei filato al piano di sopra, ignorandomi. Non hai voluto vedermi.
Non è stato sempre così. La nostra storia ha molto a che fare con il vedere. E con la mia tristezza.
Tu mi hai curato gli occhi e hai dissolto il velo di tristezza che li copriva, anche quando sorridevo, anche quando pensavo di essere felice.
Tu hai vinto contro l’armata delle mie paure, sconfiggendole una dopo l’altra in una guerra fatta di battaglie vittoriose, non a caso sei un maggiore dell’esercito di difesa, un ufficiale medico, ami precisare tu.
Mi hai guardato negli occhi e mi hai visto nell’anima. Hai sempre saputo – per istinto? – quando dare ascolto a quello che dicevo e quando non era il caso. E quando mi hai detto: “Ti fidi di me? Hanah, ti fidi di me?”. Hai aspettato che rispondessi di sì - non potevo che dirti di sì - e poi le hai demolite, annichilite, le mie paure. Paure di anni, che irrigidivano il mio corpo, chiudevano il mio cuore, ottundevano il mio cervello.
Mi hai curato, guarito, e ora sali dritto al piano di sopra senza salutarmi.
Ho fatto qualcosa di male? Ti ho offeso in qualche modo? Arrecato dispiacere?
Ti vedo scendere le scale. Sei vestito di lino chiaro, l’ecrù che fa risaltare la tua abbronzatura. Porti quella cintura di cuoio che mi piace sfilarti, che mi piace quando te la sfili.
Attraversi il soggiorno e vieni verso il giardino, vieni da me, mi hai vista, sai della mia esistenza.
Mi abbracci, mi tieni stretta, prendi il mio viso tra le mani e mi baci in bocca.
Io sono sudata, ho le mani sporche di terra, tu profumi di dopobarba, hai un vago aroma di sandalo, sei una splendida visione chiara, i tuoi abiti, scura, i tuoi capelli neri, il bruno della tua pelle.
Io sono così inadeguata, ma tu mi redimi, come sempre fai, mi redimi.
“Perché mi hai ignorata prima?”
“Avevo ancora l’odore del campo addosso, Hanah, come potevo avvicinarmi a te?”
Ancora un anno, poi la guerra non sarà più affare nostro.


Su Annarita Lamberti
Annarita Lamberti (1971) insegna Lettere in un Liceo napoletano. Esordisce nella scrittura scientifica, dedicandosi per anni alle ricerche di geografia politica e umana con un approccio culturale e post-coloniale sulle tematiche urbane e sul rapporto tra letteratura e geografia. Nel 2005 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Geografia dello Sviluppo all'Università “L’Orientale” di Napoli, discutendo una tesi sul rapporto tra arte e sviluppo urbano a Tel Aviv. Ha insegnato all'Università di Bergamo e ha pubblicato numerosi articoli su riviste scientifiche. Nel 2014 ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale a professore di seconda fascia in Geografia. La sua passione per la letteratura l’ha portata a riscoprire i classici e a scrivere narrativa. OXP ha già pubblicato alcuni suoi racconti brevi.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

La chiave falsa, di Annarita Lamberti (I Coltelli, 2018)