Squarci | sabato 30 aprile 2011

Annarita Lamberti

Della questione maschile e del post-femminismo

Della questione maschile e del post-femminismo.
Un altro tipo

Ero appena tornata a casa dopo gli esami della sessione autunnale, quando zio Nicola e zia Maria Teresa mi chiamarono per salutarmi.
Fu una lunga conversazione telefonica a cui non ero abituata, innanzitutto perché amavo poco il telefono e poi, aspetto non meno importante, non era loro abitudine: erano legati alla vecchia idea che telefonare costasse, nonostante avessero da anni un contratto forfetario per le chiamate su fisso.
Ma parlare con me li aveva spinti a superare un tabù connaturato.
Mi volevano bene, certo, e in più io ero una professoressa. Credo che mi vedessero già titolare di cattedra e in più all’Università di Bergamo, un altro elemento simbolico: una meridionale chiamata dall’accademia del profondo Nord.
Mi chiesero come stessi, come fossero andati gli esami e come mi trovassi a Bergamo.
Stavo bene, buona parte degli studenti aveva superato gli esami a pieni voti, mi trovavo bene a Bergamo: è un città piccola e bella.
Ne erano felici, quanto agli studenti era segno del mio valore come insegnante, e una persona intelligente, colta, corretta e capace di apprezzare le novità come le sfide, quale io ero, non poteva che trovarsi bene a Bergamo.
Erano veramente orgogliosi. Genuinamente, ingenuamente orgogliosi.
Vengo da una famiglia semplice e sono stata la prima a laurearsi come la prima a tentare la carriera accademica. I miei, tutti quanti loro, sia i miei genitori che gli zii di Perugia e tutti gli altri, dispersi lungo lo stivale da Napoli in su, tipica configurazione diasporica delle famiglie meridionali, pensavano all’università come a un gotha delle intelligenze, di cui sebbene “a contratto” facevo parte anch’io.
Ma fu quando parlai con zia Maria Teresa che ricevetti la parte più importante della comunicazione telefonica.
- Sono orgogliosa dei tuoi successi, e sarò veramente felice quando riuscirai a ottenere tutto quello ti serve. Un lavoro fisso e una casa, ecco tutto quello che ti serve veramente. Poi sarà tutto a posto. Tanto un uomo, un uomo che sia adatto a te, che sia in grado di apprezzarti non esiste.
- Davvero, zia, dici? Perché mi farebbe piacere se arrivasse un uomo, oltre al lavoro e alla casa.
- Quand’è così, se lo dici vuol dire che lo desideri, allora, te lo auguro con tutto il cuore, e quando arriva, sappi che noi gli vogliamo già bene, anche senza conoscerlo.
Avevo usato un tono divertente, cercando di sdrammatizzare. Ma quel primo augurio tanto pragmatico e concretamente e assennatamente giusto mi aveva spaventato. Non ci sarebbe mai stato nessuno per me, perché ero sensibile, intelligente e una buona insegnante? Non era una previsione tanto improbabile. Gli uomini, si sa, di quei tempi come di questi e quelli di prima ancora, preferiscono un altro tipo di donna. Si preferisce sempre un tipo di donna diverso dal mio.
Se sono brutta? Non direi. Non bellissima, ma non brutta, non mi vedo così. E poi dall’osservazione diretta, avevo capito che la bellezza non era poi necessaria.
Se sono antipatica? Non direi, c’è gente che giura di considerarmi simpatica, divertente, gentile...
Se sono perfetta? O, mio Dio, no! Sono piena di imperfezioni!
Se sono femminista? No, di certo. Ma, forse, è questo il problema. Oltre al fatto che sono intelligente, colta, istruita, meridionale, considerato da una prospettiva orobica, con una mentalità troppo settentrionale, considerato da una prospettiva meridionale, non veramente/sufficientemente napoletana, considerato da una prospettiva partenopea.
Beh, insomma, qualche difetto ce lo avevo, ma erano poi davvero determinanti per la scelta di uomo non dico di non innamorarsi di me, ma neanche di scegliermi come compagna di vita?
Non saprei, forse, non mi sono mai veramente interrogata al riguardo. Di certo posso dire che una volta un amico mi disse:
- Tu sei un tipo da estimatori del genere. Bisogna soffermarsi su di te per scoprire la tua bellezza e rimanerne catturati. Ma quelli che si soffermano sono pochi, veramente pochi.
Temo che gli estimatori del genere, del mio genere, si siano tragicamente estinti.
Se accantono per un attimo l’ironia, ed è davvero dura, devo ammettere che quelle parole di zia Maria Teresa, che ricordo veramente accorate, mi fecero male. Non ci sarebbe mai stato un uomo per me, era meglio accettarlo. Sognare sì, per mantenersi allegre e romantiche, ma era meglio non illudersi. Non sarebbe mai arrivato nessuno. D’altronde avevo 35 anni e già dieci anni prima un esponente del gotha di cui facevo parte come co.co.co. mi disse che non ero più giovanissima.
Ok, “drop with love, drop with men”, lo diceva anche Ella Fitzgerald.
Ma non ne avevo proprio voglia. Non volevo arrendermi.
Mi avevano detto che avrei dovuto impegnarmi. Sì, me lo avevano detto tre anni prima, senza risparmiarmi delle altre parole, pronunciate con tono accusatorio. Eravamo nel giardino della sua nuova casa di Beitshemesh, “a long life project”, cominciava a temere Daniel quando, mentre mi mostrava le essenze aromatiche che avrebbe piantato tutt’intorno, nonché le piantine di alberi da frutto da mettere a dimora, decise anche di mostrarmi una rana da vicino, da troppo vicino per una ragazza di città.
- Bacialo, potrebbe essere un principe...
- Ma sei matto! Preferisco rimanere platonica con questo genere di principi.
Poi, poco dopo, mentre in cucina preparava una grande frittata di cipolle, mi chiese se poteva sapere quanti anni avessi e, quindi:
- Non sei sposata perché non vuoi avere figli?
Come poteva pensare una cosa simile! Cercai di sdrammatizzare:
- No, di certo. Non c’è nessuno che voglia fare dei bambini con me.
Sdrammatizzante ma sincera. E lui di rimando, emise la sua sentenza definitiva:
- Tu non ti impegni.
Non disse altro. Un’affermazione lapidaria in stile biblico senza altre spiegazioni. Secondo lui non ce n’era bisogno. Io avrei voluto chiedergli: cosa vuol dire “non ti impegni”?
Già, cosa voleva dire che non mi impegnavo?
Non mi ero mai impegnata abbastanza a conquistare un uomo?
Oh, era vero. Ma come poteva saperlo Daniel?
E, poi, era vero per davvero?
Sono passati alcuni anni da quella sera nella cucina di Daniel a Beitshemesh e, sebbene, non costantemente, mi sono interrogata spesso sulla sua sentenza e a volte ho cercato di mettere in pratica l’invito implicito a impegnarmi. Per dirla tutta da qualche mese mi impegno molto, veramente molto. E temo di aver avuto conferma di una mia vecchia intuizione, che attribuivo a leggere forme di depressione ciclica o a una sindrome sotterranea di pessimismo cosmico: pur non negando che ci sono donne in grado di conquistare un uomo, in realtà, si conquista solo chi vuole essere conquistato.
Ovvero, potevo e posso decidere di impegnarmi fino allo sfinimento, mio e suo, ma se va bene è solo perché lo vuole lui.
Non ho ancora teorizzato la mia posizione post-femminista, ma posso affermare con tutta sincerità e in risultanza di un lungo (doloroso, ahimè) lavoro di ricerca sperimentale che un uomo e una donna diventano una coppia solo se lo vuole lui. Per lo meno in Italia e oggi, è opportuno contestualizzare e situare ogni dichiarazione tanto teorica quanto empirica.
D’accordo, devo impegnarmi almeno a circostanziare la mia affermazione.
Bene. Un fattore importante, per quanto oggi, forse, non più tanto pervasivo né decisivo come un tempo, è la mamma, la cara, nefasta, mamma italiana. La mamma dei maschi italiani quarantenni, anno più anno meno.
Queste signore, generalmente, nella sessantina inoltrata, molto dinamiche, ottime guidatrici, da rally o da Parigi Dakar, direi, dedite al volontariato negli ospedali, talvolta, nonne super sprint, ogni settimana dal parrucchiere, a volte anche due, donne in carriera per quanto in pensione, con tantissimi interessi, il teatro, l’opera, il cinema, i viaggi, la palestra, le amiche, l’azione cattolica (per il campione cattolico, dominante nella ricerca), l’università della terza età, i corsi di spagnolo o di russo, e lo sport estremo, queste signore, dicevo, in ottemperanza al dato neurologico che le donne hanno una configurazione cerebrale tale da poter fare più cose contemporaneamente, non faticano a gestire agilmente la vita dei loro figli, specie quella sentimentale. Non ci vuole molto, per la verità, i figli sono soggetti predisposti alla gestione delegata della loro vita sentimentale. É una questione di esternalizzazione: il servizio di selezione del personale “sentimentale” viene appaltato alla mamma. Almeno in apparenza la mamma viene investita di un mandato. Ma la questione cruciale, rispetto al tema che stiamo discutendo, riguarda i parametri della selezione. Ho riscontrato una gamma alquanto vasta e variegata di criteri selettivi, caratterizzata, tuttavia, da un nucleo unico. L’esito della selezione è sempre residuale. Mi spiego meglio: la donna eletta a compagna non è quella più adeguata ma la meno inadeguata, tra tutte le altre sempre, invariabilmente, inconfutabilmente inadeguate. Questo il dato empirico, o che viene proposto come tale.
In realtà esso si fonda su un antefatto teorico granitico: anche nel caso in cui la mamma riconoscesse tra le candidate una donna, che fosse la perfetta ibridazione tra Santa Maria Goretti, per il dato morale, e Naomi Campbel (Claudia Schiffer nel caso in cui la mamma sia razzista), per il dato fisico, questa donna sarebbe ugualmente inadeguata.
Naturalmente, il livello di inadeguatezza residuale si abbassa qualora la donna in questione sia ricca. Ovviamente. Un dato empirico talmente ovvio che mi sembrava inutile citarlo.
Caratteristiche come la gentilezza, la bontà d’animo, l’educazione, il buon gusto, le migliori intenzioni o il fatto, il semplice fatto, che amino sinceramente il figlio non costituiscono mai, e sottolineo mai - i dati parlano chiaro - condizione né sufficiente, né necessaria per superare la selezione.
Ma non è il caso di soffermarsi troppo sulla mamma, che come ho dichiarato, precedentemente, rientra nel gruppo di fattori a rischio con crescente indice di marginalità. Un altro fattore attualmente meno a rischio è il giudizio del gruppo degli amici, con particolare riguardo a quello dell’amico dominante, il capogruppo o l’elemento carismatico. Una sua parola in favore della donna aspirante può essere risolutiva – forse, è lui l’uomo da conquistare?! –. Connotati da una mentalità gregaria, gli uomini sembrano fortemente dipendenti dal parere del gruppo su come deve essere una donna. Se si è in grado di attivare un processo di lobbying o di produrre una consistente sponsorship maschile, il livello di gradimento e le chances di successo possono aumentare. Le nuove tecnologie di comunicazione aiutano poco: ancora molto efficace il tradizionale passaparola. Le comunità maschili sono fortemente conservative anche quando non si definiscono conservatrici.
Quali sono le caratteristiche delle donne selezionate per effetto del favorevole giudizio del gregge, pardon, gruppo? La ricerca, che si è avvalsa di metodologie analitiche quantitative e qualitative, tra cui l’osservazione partecipata, i focus groups, la valutazione sociolinguistica e psiconalitica delle dichiarazioni ottenute per mezzo di interviste strutturate o semi-strutturate nonché conversazioni libere, ha evidenziato che le prescelte sono generalmente: poco belle o, più spesso, decisamente brutte, ma soprattutto molto trascurate nell’aspetto, per niente eleganti, dotate di un eloquio volgare, non conoscono l’uso del congiuntivo, e sono spessissimo del tutto antipatiche e sgarbate.
Le donne, a cui vengono riconosciute caratteristiche opposte a quelle suindicate, vengono prese in considerazione unicamente per il ruolo di amiche, sappiatelo.
É il caso, ora di passare ai fattori determinanti alla sistematicamente mancata conquista dell’uomo italiano e quarantenne. La ricerca ne ha evidenziati due: la crisi della Chiesa Cattolica e l’avanzata, politica e partitica, della lobby omosessuale.
La progressiva riduzione della pervasività con cui la Chiesa Cattolica condiziona i comportamenti culturali beninteso, non politici o elettorali, in Italia ha determinato il drastico calo dell’interesse maschile nei confronti delle donne in generale e quello di una tipologia considerata adeguata dalla Chiesa Cattolica, generalmente sostenitrice e divulgatrice dell’idea del bello e dei valori della bellezza. Come di quelli della mascolinità e della virilità. La norma aurea Una caro unus sanguis, cardine del diritto canonico in tema di disciplina matrimoniale, risulta oggi ampiamente disattesa da parte della popolazione maschile, cattolica, italiana. Il disinteresse sessuale degli uomini per le donne, fatta eccezione che per le prostitute e per quelle che rientrano nella categoria delle predilette del gruppo amicale, è un fatto dilagante nonché un dato in costante crescita.
Il crescente peso politico degli omosessuali, nonché l’appeal culturale che le loro comunità sono in grado di esercitare, tale da catturare l’attenzione sempre maggiore dell’establishment cattolico e vaticano, sono alcune tra le ragioni dell’attrazione che i gay esercitano sulla popolazione maschile quarantenne italiana. Molti uomini scelgono di ostentare comportamenti omosessuali pur non essendolo: uscire in gruppi di soli uomini, rifiutare ogni prossimità fisica con le donne, dall’approccio all’amplesso, evitare di dichiarare interesse per una donna (sempre fatta eccezione che per le prostitute e per quelle che rientrano nella categoria delle predilette del gruppo amicale), sfuggire allo standard mondiale del “mi piaci – frequentiamoci – facciamo l’amore – fidanziamoci – sposiamoci”.
La situazione italiana, anche in relazione a tale aspetto della vita sociale, è decisamente critica. Il quadro dei comportamenti socio-culturali, appena esposti, si integra con i dati relativi all’incertezza economica nel determinare la crescita zero. Per una ricognizione più articolata sul tema rimando al mio saggio Della questione maschile e del post-femminismo in Italia.
Alle donne che non rientrano nella fortunata tipologia P e PdGA, le donne dell’altro tipo, per intenderci, voglio indirizzare un pensiero di speranza.
Un giorno, mentre rientravo in camera in un piccolo albergo di Giaffa, dopo una giornata di ricerca, Arnon, il proprietario, un bel signore sulla cinquantina, dopo avermi salutato affabilmente mi chiese:
- Anna, come mai sei venuta da sola, senza il tuo fidanzato?
Risposi che non ero fidanzata.
- Come mai? – Incalzò, incuriosito.
- Non saprei, posso solo dirti che non riscuoto molto successo presso gli uomini italiani.
- Perché? Sei bella, sei simpatica.
- Perché sono stupidi! – affermai in un impeto di istintiva sincerità, non circostanziata da prassi euristica.
La risposta di Arnon fu:
- Sono assolutamente d’accordo!
C’è ancora una speranze per le donne dell’altro tipo!
La presentazione riscosse un grande successo, applausi scroscianti e standing ovation nell’auditorium dell’università di Sidney dove si era svolto quell’anno il forum su Identità Sessuale e Sviluppo: Prospettive per il XXI secolo, accolsero l’ultima slide del power point in cui si leggeva:
“ Ringrazio di tutto cuore il mio amico Oliver Sacks1, per il suo prezioso scientifico sostegno alla mia ricerca”

Dr Annarita Lamberti
Full Professor of Cultural and Post-feminist Studies
Dep.mt of Cultural, Gender and Neuropsychiatric Studies
Harvard University

1 - Professore di Neurologia presso l’Albert Einstein College of Medicine di New York


Su Annarita Lamberti
Annarita Lamberti (1971) insegna Lettere in un Liceo napoletano. Esordisce nella scrittura scientifica, dedicandosi per anni alle ricerche di geografia politica e umana con un approccio culturale e post-coloniale sulle tematiche urbane e sul rapporto tra letteratura e geografia. Nel 2005 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Geografia dello Sviluppo all'Università “L’Orientale” di Napoli, discutendo una tesi sul rapporto tra arte e sviluppo urbano a Tel Aviv. Ha insegnato all'Università di Bergamo e ha pubblicato numerosi articoli su riviste scientifiche. Nel 2014 ha conseguito l’Abilitazione Scientifica Nazionale a professore di seconda fascia in Geografia. La sua passione per la letteratura l’ha portata a riscoprire i classici e a scrivere narrativa. OXP ha già pubblicato alcuni suoi racconti brevi.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

La chiave falsa, di Annarita Lamberti (I Coltelli, 2018)