Poesie | domenica 6 marzo 2011

Antonio Salvati

Il Drambuie

Giocavo con il bicchiere fra le dita. I gomiti appoggiati sul bancone mi davano stabilità e uno strano senso di sicurezza. “Cosa ti preparo stasera?”. Non so perché vengo sempre in questo bar. Non ricordo nemmeno quando ho calpestato il freddo marmo della sala la prima volta. Deve essere passato tanto tempo e dal bruciore della bocca dello stomaco forse anche troppo. “Allora ti preparo un Daikiri”? Non ho voglia di parlare stasera, ho voglia solo di bere. Giacomo se n’è accorto e prepara l’altare per servire l’ennesima messa al dio alcol. “Cos’è successo stasera?” si fa scappare a denti stretti. “Non so amare” sussurro al mio bicchiere. Capisce per la seconda volta che la serata non è delle migliori e continua con il rito del ghiaccio e dei mixer. Più che un barista l’ho sempre considerato un sacerdote. Sì, un sacerdote. Un maestro dell’alcool e dei suoi derivati. Non mi accorgo quando mi sfila il bicchiere dalle mani, mi ritrovo un altro calice pieno. Bevo. Mi fido, e fin’ora ho sempre fatto bene. Penso. Perché non è così semplice anche per il resto. Mi rispondo dopo il secondo sorso. Abbozzo un sorriso, ma è una smorfia. Su quella sapiente miscelatura andava meglio una lacrima. “Com’è” mi chiede con il suo affabile sorriso. “Fa male, ma prima o poi occorre affrontare i propri fantasmi” rispondo al bicchiere.
Le avevo detto di non innamorarsi di me. “Non so amare” le avevo detto con i miei modi non proprio garbati. Lei mi aveva spalancato le braccia con un sorriso “viene ti insegno”. Diventò la mia sacerdotessa. La vestale che alimentava il fuoco dell’eros giorno dopo giorno. Mi fidai. Sbagliai. Il bruciore alla bocca dello stomaco aumenta. Non capisco qual è la causa. O forse lo so, ma preferisco prendermela con il bicchiere.
“Ma tu la filosofia non la ami?”, mi chiede mentre ripone una bottiglia su uno scaffale. Alzo lo sguardo dal bicchiere. Non ce l’ho con lui, fa il suo mestiere. Sarà pure un brutto mestiere, ma ognuno nasce per qualcosa. Sì, e io? Per che cosa sono nato? “Allora perché non mi rispondi?” Il tono incalzante iniziava ad infastidirmi. “Sì”, risposi a stento, “amo la filosofia”. “Allora sai amare”, ribatte il vecchio metafisico. Cerco un’argomentazione per smontare il suo semplice teorema. Mando giù l’ultimo sorso, più per tenerlo impegnato – lo vidi mentre si attrezzava per propinarmi l’ennesima sapiente mescolanza – che per volontà. “È un’altra cosa”, sono le uniche parole che riesco a pronunciare. Una difesa pessima. “Colpa dell’alcool”, dico pensando ad alta voce. E continuo a giocare con il bicchiere. Una volta lei mi disse “aprimi il tuo cuore”. L’ho fatto. O meglio l’ho fatto solo a metà. Poteva bastare, non era necessario esagerare. Ma lei non era riuscita ad entrare. Forse era troppo grossa per farlo. “Sarebbe stato inutile”, sussurro, colpendo con il ginocchio il bancone. Il match con la mia anima sta per finire. Come ogni sera nessun vinto, né tantomeno un vincitore. Forse era questo che mi logorava.
Mi avvio verso la cassa. Era già pronto. Quel colore mi metteva di buonumore. Lui lo sapeva. Per questo lo preparava prima che varcassi quella porta. Era come la benedizione a fine messa. Senza quella non si poteva dire di aver assistito ad una funzione. Lo butto giù in due sorsi. Il Drambuie aveva una caratteristica: prima la dolcezza del miele, poi il ruvido schiaffo dell’alcool. Era come lei. Perciò l’amavo. In fin dei conti amavo anche lei. Pago e vado via. Giacomo mi seguiva con lo sguardo del buon pastore. Sarei ritornato, lui lo sapeva. E lo sapevo anche io.


Su Antonio Salvati
Antonio Salvati, laureato in Filosofia presso l'Università di Napoli "L'Orientale", è studioso, da anni, delle filosofie e delle religioni orientali. Giornalista professionista, è anche esperto di comunicazione digitale.

Sulla rubrica Poesie
A volte c’è un bisogno di sospensione. Di densità diversa. Di tempo trasognato. Di spazio poco arredato. Di un posto delle fragole nell’anima. Di silenzi gentili che non sono di solitudine, ma di rade presenze discrete. A volte c’è un bisogno di sorpresa, di lampi improvvisi, accensioni impreviste. C’è un bisogno di respiro irregolare, di battito lento. Di ricerca segreta tra le pieghe del sogno e le unghie della realtà. A volte c’è un bisogno di attesa. Di ricordo. Di sguardo lontano, distante. Di confini indistinti, di profili scontornati, nuovi. A volte c’è un bisogno di poesia. In quest’angolo di rivista se ne trova di nuova, di inedita, di molto famosa, di nascosta, di quella che addolora e di quella che consola. Basta cercare. Basta aver voglia di scoprire parole segrete. Basta trovare un piccolo tempo anche per la poesia.

Giuseppe De Lorenzo e il Buddhismo, di Antonio Salvati (Studi Storico-religiosi, 2016)