Squarci | giovedì 22 marzo 2007

Francesca Siciliano

Grafoterapia

Ci sono alcuni pomeriggi che intorno è notte anche se è presto, e magari già è il pomeriggio di una giornata che hai giocato a nascondino, che magari all’inizio ci hai pure provato, e ti sei alzata operosa e volenterosa, ti sei lavata bene e vestita da lavoro, hai svegliato tuo figlio e gli hai fatto fare la colazione mentre ti truccavi, lo hai lavato ben bene, vestito e accompagnato all’asilo, e poi tu in ufficio.
Con tre priorità da contattare e poi questo e quello. E invece là dentro la sua presenza era ingombrante su tutto. Il fatto d’averci perso confidenza e intimità m’inceppa nel modo di relazionarmi a lui. Forse dovrei essere più flessibile e spalmarmi senza far storie in questa nuova modalità di rapporto.
Seguire stretto stretto le regole dell’educazione e non trovarmi fuori dal selciato.
Ma ho strappi dentro.
Vertigini, vuoti d’aria, tachicardie e aritmie.
Nel mezzo di una riunione, al centro di una trattativa, o semplicemente a tempo perso in ufficio, per un odore, un pensiero.
A volte quasi una sensazione.
Sì, a volte sembra qualcosa accada, poi niente,
L’indifferenza che deve caratterizzare il comportamento in ufficio si accumula nella pancia sotto forma di veleno, e scoppia appena ti ritrovi fuori, fuori dalla bugia del lavoro.
E a casa tutto si sgonfia come un palloncino.
Io qui mi concilio con la mia voglia di nulla.
Mi ci abbandono.
Solo languore.
Senza mai più dormire fra le sue braccia.

Mi piacciono le tue braccia e l’energia che hanno
respirarti vicino
vederti
averti di fronte come il volto più amico
e identicamente di fronte
per lavorare.

Estraneo, anzi una terra bruciata.
Oggi già ero brutta
tornata brutta e respingente.
Solo quando ho un compagno che amo
perdo l’aria respingente
non sono occupata dal creare una distanza fisica col mondo.
E stasera sono spossata, esangue,
vampirizzata di energie - e ancora mi piace parlare le sue parole -
e come sempre questo mondo nascente di paure nuove e di dolorìo antico,
nasce e vive solo per me
solo in me.
Per lui già non esiste.
Le nostre strade che non devono aver mai coinciso
ora sono proprio distanti
non si vedono
e non si parlano
lui smagliante
io sotto un trattore.
I miei occhi gonfi, tutto il mio fingere normalità.
Lui non resisterà a lungo senza una signorina amorevole e premurosa…
A chi volgerà le sue attenzioni?

Devo scappare da lì
lontano lontano.
Non riesco
ad averlo accanto
e non toccarlo più.


La vita è troppo strana.
Io davvero non ce la faccio a starle dietro.
Metti stasera
fa ancora freddo ed è ancora inverno.
Io avrei voglia di starmene a casa
in questa bella casa
calda e con le luci
e guardare la tv scrivere al computer, fare quello che faccio.
Se ci fossi tu,
a fare qualcosa,
la tua cosa,
a vivere accanto a me la tua vita
questo che c’è
sarebbe pieno e perfetto
il bagno e l’idromassaggio
potenti e purificanti come una vacanza in Kenya
basterebbe
farmi accarezzare i tuoi piedi
che a te piace farteli toccare e io li stropiccerei per ore infinite.
E a volte quando ti guardo ti vedo già
forse da sempre
e non lo sapevo
in un altrove irrimediabile e insanabile
lontano lontano lontano
ché di me solo un flebile eco ti raggiunge.
Appena
tutta la mia umanità rovente non ti arriva che in un soffio tiepido
impercettibile
il mio gastroduodeno in fiamme si spegne di fronte al gelo tuo cortese.
E allora divento specchio triste del tuo
educato
avere a che fare con me.
Ma io ho un’altra possibilità:
io scompaio.


Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.