Squarci | martedì 5 dicembre 2006

Serena Ammendola

Vedrai…

Si è conclusa un’altra giornata di lavoro, uguale a se stessa e a tutte le altre. Da diciotto anni sempre e solo le stesse monotone pratiche.
Nessuna responsabilità.
Lui chiude le sue insignificanti ansie nella borsa da lavoro che un tempo era stata pregiata, di pelle costosa: un regalo per la sua laurea che a lei era costato sacrifici, intenso di speranze e illusioni. Indossa l’impermeabile dai polsini consunti ma ben stirato da mani ancora premurose e innamorate, e scende in strada.
È buio, si sentono voci allegramente chiassose che vengono dalle case, dai piani più bassi dei palazzi che sono accanto alla fermata dell’autobus.
Fa freddo. Aspettarlo, quell’autobus, è pesante, ora che è inverno, ma a piedi è lunga la strada per tornare a casa.
Finalmente, eccolo, e lui comincia a tornarci, a casa.
Il percorso dura venti minuti, a quell’ora, senza traffico… i venti minuti più temuti della giornata, da solo, con sogni infranti e riflessioni.
Si siede, si specchia in un finestrino, ravvia un ciuffo di capelli e si guarda dritto negli occhi. Si vede dentro.
È ieri.
Scelte diverse gli avrebbero cambiato la vita, forse… o forse no, ma è troppo bello crederci. Se quel giorno fossi riuscito… Se avessi… Ora di certo non sarei qui, no. Di sicuro sarebbe tutto più…
Ma più… cosa?
A casa ci sono i bambini. Lo aspettano per trascorrere in sua compagnia gli ultimi momenti della giornata. Eh, sì. Se anche fosse solo per loro, ne varrebbe la pena!
E per lei no? Non gli rinfaccia mai nulla, lei, pronta ad amarlo e a tacere al momento giusto, come uscita da una canzone di Tenco… Sì, anche per quel suo garbato e timido modo di esistere, vale la pena tornare a casa.
Il nodo alla gola, però, stenta a sciogliersi. La solita cena, la routine, lo squallore della realtà.
Basta pensare!
Sono quasi trascorsi quei crudeli venti minuti. Intravede già il portone di casa sua e la finestra del soggiorno, illuminata dalle luci colorate dei cartoni animati. Comincia a salire le scale.
Va tutto bene. Non potrebbe andare meglio di così e non è vero che vorrei che andasse meglio di così. Solo fantasticherie.
So di essere felice.
Trae un respiro profondo, prima di bussare alla porta.
Ci sono i bambini, a casa! Almeno loro, però… Sì. Loro devono farcela!


Su Serena Ammendola
Serena Ammendola è nata e vive a Napoli dove insegna Lettere al liceo scientifico G. Mercalli. Scrive per non dimenticare ciò che vede, per incidere ricordi nella memoria. Ama meravigliarsi. Sempre. Fotografa l’orizzonte; è alla continua ricerca di colori da catturare con lo sguardo e con l’obiettivo. Non può fare a meno del blu ma ogni colore ha qualcosa da suggerirle.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

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