Da Kyoto | mercoledì 4 ottobre 2006

Alessandro W. Mavilio

Ghiaccio e treni

Appena arrivato in Giappone non ho potuto fare a meno di notare l’efficienza delle ferrovie d’ogni tipo. Tanto ho osservato, e su tanto mi sono interrogato. Ricordo che la prima cosa che ho pensato riguardava il “carico pagante” dei treni: gli stessi giapponesi. Rispetto al nostro è molto diverso il modo in cui essi usano i treni, il modo in cui ne occupano i sedili.

Ricordo che dissi a qualcuno che i Giapponesi mi sembravano cubetti di ghiaccio. (E in ciò non c’è alcun senso negativo.) Intendevo dire che il modo innato di sedersi composti, occupare un solo posto, piegarsi e ridursi, occupare il meno spazio possibile, anche a carrozza semivuota, mi ricordava l’ordine e la praticità che l’acqua – elemento naturale ma liquido – assume quando congela. E ricordo che a questo qualcuno dissi anche che, se i Giapponesi potevano essere considerati cubetti di ghiaccio, allora altri popoli in treno potevano essere considerati diversamente.

Gli “indiani gassosi” – arrivando a uscire dai finestrini e invadere perfino l’esterno del convoglio, predellini e tetti, durante il viaggio – oppure gli “italiani liquidi”, per il loro modo silente di scorrere (da fermi!) negli interni e contaminare interi compartimenti, bagnare con la forza (e spesso il fastidio) di uno scolo inarrestabile persone sconosciute, studenti che tornano a casa, militari tristi con la divisa color kaki, grigi ragionieri con borse consumate e boy scout, con discorsi, conversazioni, merende improvvisate.

E allora mi convinsi: “giapponesi cubetti di ghiaccio, indiani gassosi, italiani liquidi”. E – certamente - tante altre categorie sfumate, sublimate, di popoli in treno.

Ma il discorso – mi rendo conto – è incompleto e arbitrario. E tante cose sono cambiate nell’Italia dei treni alla quale mi riferisco. La goliardia, l’accoglienza degli italiani in treno è pressoché scomparsa con la scomparsa stessa dei vagoni a compartimenti. Le vetture pullman (quelle con i sedili tutti in fila) - arrivate tra l’altro in un periodo di scarsissima sicurezza sociale - non riescono più in questo miracolo. Anni fa si sceglieva uno scompartimento pesando al volo i suoi occupanti: scegliendo uno scompartimento si sceglieva come una famiglia, era un’adozione temporanea che durava qualche centinaio di chilometri e un tempo imprecisato. Oggi nelle vetture pullman non si sceglie più ma ci si dà al caso di un enorme contenitore. E sebbene non ci siano più pareti divisorie con “quadretti color seppia di un’Italia che era” ci sono pareti invisibili e ben più spesse. Scelte scellerate hanno contribuito a distruggere la famiglia, il senso di famiglia, le magie del viaggio ferroviario in Italia.

Ritardi mostruosi, piccoli furti, sporcizia erano esperienze che nello scompartimento venivano condivise, creavano legami, affezioni. La vettura pullman – probabilmente mutuata dalle esperienze ferroviarie americane o scandinave – non potrà mai funzionare in Italia finché i treni saranno sporchi, pericolosi e in ritardo. Il viaggiatore italiano di treno oggi è doppiamente orfano.

Ma ieri tornavo da Osaka in treno e pensavo, pensavo... E ho visto il problema da un altro punto di vista.

Di treni il Giappone ne ha milioni, tutti precisi e puliti come gli ingranaggi sottovuoto di un perfetto orologio. Questo si sa. Il treno giapponese tipico, quello quotidianamente più usato, non unisce le persone ma le divide volutamente. Questi treni nascono precisi e puntuali: perciò non ha senso favorire legami tra sconosciuti, e i Giapponesi non sono certo propensi alla socializzazione in pubblico poiché preferiscono di gran lunga dormire o dedicarsi alla cura personale: profonda lettura, invio di email chilometriche dal cellulare, trucco per le donne.

Il treno giapponese dunque non incarna una famiglia temporanea. Il treno giapponese è una mamma, ciascuno ci trova la propria mamma. Dentro possiamo di tutto, nei limiti dell’educazione ricevuta, e questo treno-mamma ci porta a destinazione. Tra l’altro, il treno giapponese non può che essere femmina: il rumore pluritonale dei motori ricorda il sospiro di una donna, così come i mugolii-cigolii delle sospensioni quando è fermo in stazione. Lo sferragliare (rumore maschile, di officina) è molto attutito rispetto ai treni italiani!

Tuttavia esistono in Giappone tantissimi altri tipi di treni: quelli superveloci (lo Shinkansen), quelli turistici (con uno schema di sedili particolare e vetture panorama), quelli suburbani (ai quali mi riferisco), le metropolitane leggere...

Il treno giapponese standard di oggi, quello più usato (tra suburbane e metropolitane) ha un layout di sedili che in Italia non è molto comune, se si eccettuano alcune metropolitane più recenti. I passeggeri danno le spalle ai finestrini (e c’è qualcosa di militaresco nel trasportare così la gente!) e siedono praticamente gli uni di fronte agli altri, con l’ampio corridoio di mezzo. Ciò nonostante, gli sguardi non si incrociano mai. Se in Italia un treno così serve a fare solo poche fermate, l’omologo giapponese ci porta molto più lontano.

Ma nell’ambito di questa tipologia di “materiale rotabile”, in Giappone, esistono diversi altri tipi di treno. Ne cito alcuni:

- Il Futsu/Kakuekitesha: quello che si ferma in tutte le stazioni..
- Il Kyuko: una specie di sub-espresso.
- Il Tokkyu: quello veloce, che ferma in poche stazioni.

E altri tipi intermedi o superiori a seconda del tipo di ferrovia, statale o privata.

A grandi linee sono treni tecnicamente molto simili. Spesso ci si accorge che i servizi di tipo inferiore (Futsu e Kyuko) sono operati da materiale rotabile più datato. Ma ciò non interferisce minimamente con la puntualità o il grado di pulizia.

Alcuni treni hanno un inconfondibile sapore anni ’70. Altri emanano un preciso odore anni ’80. Altri si sente che sono dei ’90. Ma la differenza è davvero minima, spesso appena suggerita dalla forma di un fanale, dal disegno dei finestrini (quadrati o appena arrotondati in quelli più recenti), dal rumore dello sbuffo dei freni...

Ieri tornavo da Osaka, dicevo, e guardavo fuori dal finestrino.
“Le stazioni si susseguivano, spezzando la notte come galassie sospese nel nulla.” Per citare un amico, che di treni se ne intende.
Il mio treno ne incrociava tanti altri e, cosa curiosa, ciò avveniva sempre al transito in una stazione. Da napoletano non ho potuto non pensare alla funicolare:

- “Che tutti i treni giapponesi siano legati da un filo invisibile e da qui la loro proverbiale puntualità?”

Nell’incrocio magico e luminoso di treni con treni ho fotografato con lo sguardo migliaia di giapponesi: ho viste mani che sorreggevano libricini gialli, sguardi calati, occhi chiusi, visi intenti a truccarsi nascosti da specchietti... Passava un accelerato anni ’70 e tutti i giapponesi mi sembravano anni ’70. Passava un diretto anni ’80 e tutti i suoi occupanti mi apparivano anni ’80. Passava un super-espresso anni ’90 e dentro tutti erano anni ’90. Poi di nuovo un diretto anni ’70 e dentro tutti “salary men” e studenti liceali anni ’70.

Il modo di vestire, sedere, crollare, sorreggersi dei giapponesi, per quanto vario e anonimo è... fuori dal tempo. E forse sarà anche vero che quando occupano un posto su un mezzo pubblico si comportano come cubetti di ghiaccio, ma nel rapporto quotidiano con qualsiasi altra cosa I Giapponesi sublimano presto, a raggiungere uno stato umano gassoso, impalpabile. E così facendo prendono la forma del loro contenitore.


Su Alessandro W. Mavilio
Orientalista, scrittore, cineasta. Laureato in Lingua e Letteratura giapponese presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, Alessandro Mavilio ha insegnato per più di un decennio all’Università Industriale di Kyoto. Nell’àmbito del progetto “Taoist Movies” è autore anche di numerosi cortometraggi sperimentali girati in Giappone.

Sulla rubrica Da Kyoto
Di tanto in tanto un contributo da Kyoto, l'antica capitale del Giappone. Perché questo è un mondo immenso e le grandi distanze, le culture diverse, mettono alla prova le capacità del pensiero. Il pensiero e le visioni del mondo non sono mai scontati. Se si cambia orizzonte geografico, e l'angolo d'osservazione per guardare il mondo e per riflettere su di esso, ci si accorge subito che i punti di vista - gli stili del pensiero - sono innumerevoli... Questi scritti sono stati raccolti in circa dieci anni e si sono condensati e completati nel libro "Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone".

Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone, di Alessandro W. Mavilio (Gli Ibischi, 2015)