Da Kyoto | venerdì 18 agosto 2006

Alessandro W. Mavilio

I vicoli, a Kyoto

Parlo di vicoli giapponesi. Ma forse dovrei chiamarli "viuzze".
Nella mia esperienza il vicolo è una piccola strada, scura anche di giorno. Ma non posso dirlo dei vicoli giapponesi che invece, di giorno, sono chiari e nitidi.
Dunque, queste di cui vi scrivo, non sono altro che piccole - piccolissime - stradine. Viuzze, appunto.
Ma di notte?

Di notte queste viuzze cambiano carattere.
Diventano scure, silenziose e misteriose come i peggiori vicoli. Eppure, di contro, vi aumenta la sensazione di sicurezza, la sensazione di essere davvero soli e "protetti dal dedalo". Di esserne gli unici occupanti e protagonisti.

Camminare di notte per questi vicoli non intimorisce, dunque, le persone. Al contrario.
Il silenzio è pressante, squarciato solo di tanto in tanto da alcuni deboli rumori, come il ticchettio di un insetto contro un vetro di carta, il campanellino appeso fuori una finestra, una radio che trasmette canzoni antiche, lo starnuto di qualcuno immerso nel “furo”, la vasca da bagno giapponese.

La caratteristica di questi vicoli è proprio la loro capacità di non propagare i rumori. Liti familiari o amplessi rumorosi si sentono solo nel posto preciso in cui stanno avendo luogo.
Per un motivo che mi è ancora ignoto i suoni non riescono ad abbandonare il loro luogo natale.

Un comportamento simile lo ha la luce. I vicoli giapponesi, di notte, sono estremamente bui, abbiamo detto. Tuttavia vi si possono trovare spesso insegne luminose piuttosto pacchiane e accecanti, sorgenti di luce artificiale che tuttavia non riescono a intaccare il circondario.

Solo i lampioni ufficiali proiettano il loro fascio di luce a terra, creando una zona di luce debole ma ben circoscritta. Tra un lampione e un altro si ha un’abbondante zona di buio. Il buio pesto.
Se in queste zone d'ombra si trova una delle famose macchinette automatiche di bibite o sigarette, anch'essa riesce nel miracolo di illuminare solo sé stessa. E così dà maggiormente la sensazione di una "apparizione" e accresce, in chi passa, la voglia di acquistare uno dei suoi prodotti.

Ma dove altro è che la luce non riesce a propagarsi? Dov'è che la luce e il suono non riescono più a sfuggire alla loro sorgente e irrorare il circondario?
Sulle stelle collassate. Nei buchi neri.

Se luce e suono non si propagano, vuol dire che qualcosa di strano sta accadendo anche alla nostra percezione del tempo e dello spazio.

Nei vicoli giapponesi la vita scorre incessantemente nei suoi infiniti momenti di assoluta tranquillità. Tutti questi infiniti attimi tendono a non essere più riconoscibili come sequenza di attimi oggettivi e si fondono in un unico attimo eterno soggettivo. I vicoli giapponesi donano, quindi, questa esperienza di tempo eterno, senza più direzione.

In questa strana situazione percettiva si ha l'impressione di afferrare il mondo intero. Di conoscere ogni casa.

Io, spesso, quando striscio nei vicoli giapponesi ho la sensazione di guardarli dall'alto.


Su Alessandro W. Mavilio
Orientalista, scrittore, cineasta. Laureato in Lingua e Letteratura giapponese presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, Alessandro Mavilio ha insegnato per più di un decennio all’Università Industriale di Kyoto. Nell’àmbito del progetto “Taoist Movies” è autore anche di numerosi cortometraggi sperimentali girati in Giappone.

Sulla rubrica Da Kyoto
Di tanto in tanto un contributo da Kyoto, l'antica capitale del Giappone. Perché questo è un mondo immenso e le grandi distanze, le culture diverse, mettono alla prova le capacità del pensiero. Il pensiero e le visioni del mondo non sono mai scontati. Se si cambia orizzonte geografico, e l'angolo d'osservazione per guardare il mondo e per riflettere su di esso, ci si accorge subito che i punti di vista - gli stili del pensiero - sono innumerevoli... Questi scritti sono stati raccolti in circa dieci anni e si sono condensati e completati nel libro "Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone".

Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone, di Alessandro W. Mavilio (Gli Ibischi, 2015)