Da Kyoto | lunedì 14 agosto 2006

Alessandro W. Mavilio

I giapponesi e la cortesia

No, i Giapponesi non sono cortesi come pensiamo. Una delle prove è che essi stessi si lamentano spesso di una certa meschinità, di scortesie ricevute in treno, in qualche negozio... All'inizio ritenevo immotivati questi sfoghi e li incasellavo tra "gli sfoghi di alcuni giapponesi ipersensibili". Certo, sorrisi e inchini, insieme a formule idiomatiche di cortesia tutta linguistica, sono diffusissimi e creano un sistema di cortesia pubblica fruibile quotidianamente e pressoché senza interruzioni. Ecco uno dei punti della questione: i giapponesi vivono in un "sistema" cortese. Ma ciò non vuol necessariamente dire che essi siano cortesi. (Sarebbe come ritenere che tutti gli svizzeri siano banchieri o che tutti gli abitanti del Vaticano siano prelati.) E’ pur vero che agli occhi dell'occidentale che visita il Giappone i giapponesi appaiono totalmente fusi con il sistema di cortesia di cui parlo, ma ovviamente è soltanto un'impressione.
Anche se ci fosse effettiva cortesia, questa non sarebbe un atteggiamento del cuore che richieda loro una certa attenzione. Molto spesso quella che noi occidentali cogliamo come cortesia non è altro che un pigro atteggiamento della massa. Beninteso, non intendo criticare questo sistema. Anzi!

L'osservazione di oggi è banale come tante altre: perché, nel cercare di conoscere una cultura diversa, anche io ho solo cercato e rovistato nella architettura, l'urbanistica, i trasporti? Perché il "sistema di cortesia" (ne esiste uno in ogni Paese) mi è sfuggito nelle mie analisi? Perché ci ho creduto da subito? Forse perché anche io ho creduto che la cortesia fosse un universale, qualcosa comune a tutti i popoli sia pure in forme diverse.

Entriamo in uno dei tanti negozi giapponesi! Entriamo in una mensa studentesca, dove è possibile mangiare una buona e abbondante cena per soli 5 euro. Come in quasi tutti i negozi, lo staff è composto da un "master" (il gestore o probabilmente il padrone dell'esercizio) e da un piccolo esercito di assistenti (tra tavoli e cucina) costituito da lavoratori in regime di "arbeit": in genere, studenti liceali e universitari che... arrotondano.

[Ormai conosco il mondo degli studenti. Posso dire di sapere che cosa pensano e come lo pensano.]

Nel negozio nel quale siamo entrati c'è una ragazza (chiamiamola Takako) che è lì da molte ore. Adesso sono quasi le 21 e lei non si è mai seduta e ha dato da mangiare a centinaia di giapponesi affamati ed esigenti. Per la sua cortesia e il suo servizio non ha ricevuto un solo sorriso né uno sguardo per la sua bellezza. Eppure, ogni volta che un cliente paga e lascia il negozio, lei - con un tono di voce molto alto - ringrazia.

Se fossi io a lavorare in questa mensa, dopo tante ore di duro lavoro, e se fossi tenuto a ringraziare ogni cliente ad alta voce, il tono della mia voce diventerebbe più stanco col passare delle ore e - secondo una prassi italiana - comincerei a troncare le espressioni alla fine. Il mio "grazie infinitamente" diventerebbe piano piano "grazie molte", per poi - verso le 21 - diventare solo "grazie" o addirittura "graz..", senza più le ultime due vocali, troppo difficili da fonare.

Questo mio ridurre l'espressione di ringraziamento farebbe capire ai miei clienti il livello della mia stanchezza.

Ecco, in Takako e negli altri, io non ho mai colto tutto ciò. E sempre mi sono chiesto come facciano 'sti ragazzi a tener duro fino a tardi e conservare anche un atteggiamento ben cortese fino a chiusura negozio.

Di fatti non lo conservano! Ieri, come in una illuminazione, ho capito che anche il giapponese ha un atteggiamento linguistico che esprime l'umana stanchezza. Ma io non potevo coglierlo, stupidamente illuso dal fatto che cortesia e lingue siano cose universali.

Il giapponese stanco a fine giornata lascia pigramente “salire” il tono delle sue espressioni (in termini di volume e musicalità) trasmettendo un senso di vitalità. Io, al posto di Takako, lascerei scendere il mio tono...

Come ho accennato prima, per stanchezza o altro (consuetudine linguistica) io comincerei a troncare il finale di ogni mia espressione. Takako invece no. Ogni “finale” di parola o espressione (di ringraziamento o commiato) è compiutamente pronunciato! Ma non l'inizio!

"La grande scoperta" è che, nell'esprimere cortesia o scortesia, Takako e io abbiamo due modi semplicemente opposti. Certamente entrambi funzionali.

E ciò spiega perché i Giapponesi ci sembrano sempre estremamente cortesi: più sono stanchi e più si avvicinano involontariamente al modo occidentale di suonare cortesi.

Potrebbe valere l'opposto anche per loro, quando visitano l'Italia? Forse sì, con le dovute riserve... Per Takako che visita l'Italia, entrare in un negozio silenzioso, non essere avvicinata da nessuno, né salutata, né ringraziata per un acquisto, deve sembrare qualcosa di paradisiaco.

Ma sarebbe meglio se il commesso bofonchiasse pigramente qualcosa, troncandolo in finale. Forse suonerebbe tremendamente giapponese e Takako ne sarebbe molto felice.


Su Alessandro W. Mavilio
Orientalista, scrittore, cineasta. Laureato in Lingua e Letteratura giapponese presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, Alessandro Mavilio ha insegnato per più di un decennio all’Università Industriale di Kyoto. Nell’àmbito del progetto “Taoist Movies” è autore anche di numerosi cortometraggi sperimentali girati in Giappone.

Sulla rubrica Da Kyoto
Di tanto in tanto un contributo da Kyoto, l'antica capitale del Giappone. Perché questo è un mondo immenso e le grandi distanze, le culture diverse, mettono alla prova le capacità del pensiero. Il pensiero e le visioni del mondo non sono mai scontati. Se si cambia orizzonte geografico, e l'angolo d'osservazione per guardare il mondo e per riflettere su di esso, ci si accorge subito che i punti di vista - gli stili del pensiero - sono innumerevoli... Questi scritti sono stati raccolti in circa dieci anni e si sono condensati e completati nel libro "Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone".

Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone, di Alessandro W. Mavilio (Gli Ibischi, 2015)