Squarci | domenica 12 marzo 2017

Alessandro W. Mavilio

Il sogno della casa nella casa

Mi sono tuffato a letto, a pancia sotto. Ho chiuso gli occhi e in men che non si dica dai lati del campo visivo mi ha raggiunto il buon vecchio amico floreale: dal nero del campo totale, il caleidoscopio ipnagogico che ben conosco da bambino. Poi, distintamente, al centro dei miei occhi chiusi, una pupilla e un’iride al negativo e… hop-là, ero dentro! fluttuando in uno spazio senza particolari riferimenti se non quello delle sollecitazioni inerziali del mio corpo che galleggiava, si dirigeva, vagamente discendendo, come attratto da qualcosa.

Ero nella casa che spesso occupo nei sogni. Stanotte ci ero di nuovo, la riconoscevo perché è identica a quella reale, e come nei sogni del passato cercavo di raggiungere la seconda ulteriore casa, di mia chiara proprietà, speculare alla mia e che so per certo di non aver mai arredato, una casa che so esserci e aspettarmi spoglia e pura. Una casa tanto convincente e insistente che per mesi ho creduto di possederla davvero da qualche parte, anche da sveglio! E addirittura di pagarci le tasse...

Poi incontro gente, ma sempre con la latente coscienza di star vivendo una timeline parallela. È estate e geograficamente mi rendo conto di essere certamente in Oceania, Australia o forse Nuova Zelanda. Più probabilmente Australia. Lo so perché, espresso il dubbio, adesso aleggia un vago concetto aborigeno e il viraggio dell’esperienza visuale diviene rossastro.

Raggiungo la casa di persone occidentali. Una villa moderna, bianca e abbagliata dal sole. Dopo un veloce itinerario di saluto nel suo interno, mi raggiungono da fuori le voci e il rumore degli spruzzi di coloro che si divertono in piscina. È la casa del mio amico Terence, morto prima che potessi conoscerlo, ma che adesso è lì, vivo e vegeto, davanti a me. Mi indica sua figlia sul bordo più lontano della piscina e velocemente mi ragguaglia sugli altri presenti: amici in visita, conoscenti. Per sua figlia nutro un sentimento di pena. Ricordo quando le mandai davvero una email, alla quale non mi ha mai risposto, e per la quale dovevo esserle sembrato quantomeno sbadato, se non insensibile. Terence mi invita a entrare in piscina, come fa lui, anche tutto vestito. E così faccio, intuendo che in questo mondo i vestiti sono un involucro virtuale, senza particolari proprietà fisiche. Entriamo insieme in piscina, coricandoci lentamente sul pelo dell’acqua, di schiena, e lui mi istruisce su come immergermi completamente e su come continuare l’immersione in quella posizione. Mi ricorda di non preoccuparmi di respirare perché anche il respiro è una convenzione estranea al mondo che sto visitando e… del resto, sono lì per imparare cose nuove.

Immerso nella piscina, a occhi rigorosamente aperti, incontro con lo sguardo il sole abbagliante, che mi raggiunge dall’alto e dall’asciutto, e a mano a mano che mi immergo, sempre in quella posizione, capisco che il perimetro di questa piscina rivela le caratteristiche esterne di una terza casa nascosta. Nella piscina vi sono infatti finestre e porte sommerse che danno accesso a un’ulteriore dimensione architettonica, esplorabile con la stessa modalità con cui il sogno è iniziato: fluttuando senza peso, come spinto da una gentilissima corrente o come attratto da qualcosa di finale, in quest’acqua che non è aria, ma che forse è tutto.

Una volta compreso l’incomunicabile, il risveglio è estatico.


Su Alessandro W. Mavilio
Orientalista, scrittore, cineasta. Laureato in Lingua e Letteratura giapponese presso l’Università “L’Orientale” di Napoli, Alessandro Mavilio ha insegnato per più di un decennio all’Università Industriale di Kyoto. Nell’àmbito del progetto “Taoist Movies” è autore anche di numerosi cortometraggi sperimentali girati in Giappone.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

Il Recinto. Sguardi e riflessioni sul Giappone, di Alessandro W. Mavilio (Gli Ibischi, 2015)