Viaggi e scritture di viaggio | sabato 18 febbraio 2017

Teresa Esempio

Il sole di Granada

Ero appena arrivata alla stazione di Granada, avevo fatto un viaggio lungo undici ore, ma finalmente ero lì, con i miei bagagli che nell’insieme pesavano più di me, e non mi sentivo stanca, in realtà il mio viaggio era appena iniziato. L’aria sapeva di nuovo, come il sapore delle pagine di un libro appena comprato. Il sole illuminava con dolcezza tutto quello che mi circondava, ma non capivo se era quel sole o erano i miei occhi a vedere tutto con una luce diversa, profonda ma che a tratti mi offuscava. Mi offuscava quando nel guardarmi intorno non c’era nessun volto noto, perfetti sconosciuti che chissà un giorno, per qualche strana ragione avrebbero incrociato il mio cammino.

Mi aspettava Patricia, una strana signora che non conoscevo, con sua figlia Ana. Mi chiedevo se le avrei riconosciute tra la folla,le avevo viste solo in foto,ma di lì a poco le vidi arrivare, non si somigliavano molto ma avevano lo stesso viso magro e allungato, e il naso aquilino. Fu in quel momento che mi resi conto che avrei vissuto con quelle due persone a me sconosciute. Solo quando arrivai a casa, la loro casa, per questo così diversa dalla mia, capii che tutto stava per cambiare. Non era molto grande, ma sufficiente per tre persone, piena di oggetti, souvenir, foto, quadri, era accogliente, illuminata dallo stesso sole che tornava ad annebbiarmi la vista,per questo quando mi guardavo intorno dovevo fermarmi alcuni istanti, perché avevo l’impressione che quella dimensione non fosse reale, quasi come in un sogno, mi fermavo per toccare con le mani quella realtà e convincermi che stava succedendo realmente.

I primi giorni passarono lentamente, e con le mie coinquiline la convivenza era piacevole. Ana, alta e magra con un simpatico neo sulla guancia destra, era introversa, non parlavamo molto anche se eravamo coetanee, ma vedevo qualcosa di straordinario in lei, era timida ma forte, la tipica persona che non sa cosa vuole però sa quello che non vuole, coerente con le sue idee, non era vuota e avevamo tanti interessi in comune. Patricia invece, con la sua figura e il riguardo tipicamente da madre mi dava conforto, era un po’ matta, ma allegra e piena di vita, amava viaggiare e la fotografia, la casa infatti era piena di foto, che la ritraevano quasi sempre con Ana e un giovane ragazzo,l’altro suo figlio che per lavoro viveva a Salamanca, in una di quelle fotografie notai che anche lui aveva lo stesso neo proprio dove ce l’aveva sua sorella, a parte questo particolare non si somigliavano molto, piuttosto era identico a sua madre. Loro tre e nessun altro, nessuna traccia di un uomo che in un determinato momento fu padre e marito.

Nel giro di poche settimane avevo conosciuto tante persone, il bello di queste esperienze era proprio questo, un flusso di persone che scorreva come un fiume nella mia vita, e in questo immenso io ero quel tronco spezzato ma solido, in attesa che qualche altro scolo si unisse a me. Con alcuni in particolare mi piaceva trascorrerci del tempo, erano tipi un po’ strani, amanti della letteratura, per questo mi piacevano, erano come me, decidevamo di uscire per lasciare tutti i nostri affari a casa e poi si finiva a parlare di romanzi, di poesia, di Cervantes, Quevedo, Lope de Vega o Valle Inclán. Una sera, di ritorno da queste solite tertulias improvvisate, in attesa dell’ascensore qualcosa catturò la mia attenzione, sulla cassetta della posta notai che Ana e suo fratello avevano un solo cognome uguale e il secondo diverso,attenzione che di lì a poco cadde nella sede immaginaria della dimenticanza.

Dopo un mese e mezzo le cose erano cambiate in modo travolgente anche in casa, io e Ana diventammo amiche senza rendercene conto. Inizialmente guardavamo solo qualche film insieme e in seguito discutevamo per ore sul perché del finale, poi però a questi discorsi iniziammo a mescolare episodi personali, tanto che finimmo per raccontarci.Era sempre lei a sistemarci i capelli, era alquanto bizzarro perché Patricia era negata mentre Anaera veramente brava e aveva imparato da sola, come un dono. Insieme ci divertivamo e non mi sono mai sentita di troppo, Patricia era felice del nostro rapporto come una madre quando guarda le sue figlie vivere insieme, quando sa che c’è complicità, e questo mi ha aiutato quando la malinconia mi avvolgeva, perché quando Patricia con un semplice sguardo poteva capire lo stato d’animo di sua figlia, quando dialogavano per ore, quando la preoccupazione la rendeva nervosa se Ana rincasava tardi, o quando si arrabbiava per una sciocchezza, io mi ricordavo di mia Madre e capivo che tra loro c’era un legame profondo, che Patricia era per Ana quella presenza ineguagliabile, ma inspiegabile per una figlia che nemmeno ha presente il momento in cui ha incontrato sua madre per la prima volta, non c’è un istante o un periodo, sono sequenze spezzate, vissute con una persona da cui fino a un certo momento della vita non si hanno aspettative.

Una sera io e Patriciastavamo cenando, come ormai era abitudine fare,e iniziò a raccontarmi del suo passato, che un tempo fu sposata ma che suo marito la tradì quando suo figlio aveva 5 anni e Ana aveva solo undici mesi. Rimasi sbalordita, era proprio quel tipo di donna che piaceva a me, forte, intraprendente e soprattutto indipendente, che non lasciava trapassare tristezza dai suoi occhi, con quel tocco aggiuntivo che posseggono le donne al cavarsela da sole. Ebbi l’impressione che mi stesse raccontando la storia di qualcun altro, erano passati ormai tanti anni da quel tradimento, ma pensai che avesse elaborato l’abbandono nella maniera giusta, non si era arresa, per sé stessa e i suoi figli.

In quel momento rammentai del cognome diverso tra Ana e suo fratello, ma intuii che quella non era la circostanza adeguata. Una supposizione però la feci, e che uno dei due figli avesse rifiutato e cambiato il nome del padre visto il suo abbandono, e tra i due, sebbene non conoscessi suo fratello, ero più che sicura che il diniego fosse da parte di Ana. Ugualmente conservai questa irresolutezza che speravo di riuscire a decifrare, e proprio mentre ero in attesa dell’ascensore in compagnia di Ana glielo chiesi, con molta spontaneità, tipica dei bambini troppo curiosi ma lei mi rispose soltanto che era una storia lunga, e dai suoi occhi pervasi di dolore capii che non avrei dovuto fare quella domanda.

In una delle solite cene tra me e Patricia, notai che era piuttosto silenziosa, forse un po’ infelice, ma non le chiesi niente, non sono mai entrata nel cerchio di emozioni che circonda le persone senza che quest’ultime mi aprissero una porta, ma la sua confessione non tardò ad arrivare. Sul tavolo restavano i piatti sporchi, qualche mollica di pane e un po’ d’acqua nel mio bicchiere, mentre noi sul divano guardavamo la tv, poi si voltò e iniziò a parlarmi di sua sorella, non mi aveva mai parlato della sua famiglia, lo stava facendo per la prima volta in quel momento, e io non sapevo cosa dire quando mi confessò che la sorella era morta, insieme al marito molti anni prima in un incidente stradale.Non mi disse nemmeno il suo nome, la descriveva con dolci parole, piene d’affetto e malinconia, dev’essere stata una presenza importante nella sua vita pensai, poi aggiunse che si somigliavano ma che sua sorella era più bella, era forte, ma molto gentile, che come lei amava viaggiare, mi raccontò che era una parrucchiera e piuttosto conosciuta in città. Io annuivo e ascoltavo con interesse anche se non capivo perché mi stesse parlando proprio di sua sorella, in aggiunta non sapevo mai cosa dire a chi perdesse una persona per sempre, quando la tipica frase “col tempo passerà”si dimostra la più grande bugia delle bugie, perché nemmeno il tempo ripara e sana quel vuoto lasciato da certi occhi. Poi con un po’di freddezza aggiunse che Ana non era sua figlia ma sua nipote, figlia di quella cara sorella che non c’era più, che fu l’unica a sopravvivere in quell’incidente, così prepotente e violento che si era portato via sua madre.Piccola com’era la sua memoria non ha conservato nessun ricordo,nulla che potesse richiamarle alla mente il suo odore o il semplice suono della voce,non ebbe nessuna possibilità di conoscerla,in cambio però, aveva avuto la zia più mamma che avessi mai conosciuto. Il successivo mese che trascorsi lì continuai a guardarle con gli stessi occhi, nonostante io sapessi tutta la verità non vedevo alcuna differenza, di fronte a me avevo una mamma e una figlia e tutto l’amore che ne concerne.

Di colpo era già venerdì, lo stesso venerdì di mesi prima, emi ritrovavo nuovamente alla stazione di Granada,ad accompagnarmi c’erano Ana e Patricia, due delle tante persone, ma forse le più importanti, con le quali avevo condiviso tanto, forse troppo in così poco tempo, eppure le salutai velocemente, un abbraccio lungo qualche secondo con la promessa di ritornare. Mi aspettava un viaggio lungo ore ed ore, stavolta i miei bagagli pesavano quanto avevo visto, scoperto e ottenuto, quanto le vite incrociate, le strade, i sapori, i sorrisi e le lacrime. Il sole non mi offuscava la vista, tutto era chiaro, delineato poi, cominciò a rimpicciolirsi.


Sulla rubrica Viaggi e scritture di viaggio
All’inizio dell’ Odissea è l’invocazione del cantore alla musa affinché narri dell’eroe multiforme che “tanto vagò”, “di molti uomini vide le città e conobbe i pensieri” e “molti dolori patì sul mare nell’animo suo” (Odissea, I, 1-3). Viaggio e narrazione, viaggio e scrittura, sono qui apparentati, e diventano un unico modo per dire il movimento dell’eroe. Le avventure nello spazio servono a oggettivare e a rendere visibile l’avventura della mente e del cuore. L’iniziale invocazione del poeta trova una sua duplicazione nella reggia di Alcinoo, quando la regina chiede all’eroe di dire chi sia e da quale stirpe discenda. Alla domanda sulla sua identità Odisseo risponde: “Difficile raccontare, o regina, dal principio alla fine”: a ribadire che ogni viaggio è anche un racconto e che ogni racconto è anche il senso dei viaggi che ognuno compie fuori e dentro di sé. L’Odissea è il racconto di un narratore che “racconta come il viaggiatore racconta” (J.-L. Moreau, Odyssées, nel volume collettivo Écrire le voyage, Paris 1994, p. 37). Chi viaggia ha dentro di sé e davanti a sé la propria storia (nel doppio senso dell’accadere e del racconto), come colui che racconta è un vero e proprio viaggiatore nello spazio e nel tempo: “la letteratura non è che un racconto di viaggio. Essa consiste nell’esplorare le possibilità di narrazione…” (J. Roudaut, Encyclopædia Universalis, 1995 - XIX). "I più grandi geni hanno sentito la necessità di viaggiare; hanno compreso che era il miglior modo per perfezionare le proprie conoscenze" (J.-B. de Boyer, marquis d'Argens, Critique du Siècle, ou Lettres sur divers sujets, par l'Auteur des Lettres juives, chez Pierre Paupie, La Haye 1755, t. I, p. 194).

Enzo Cocco