Squarci | giovedì 2 ottobre 2014

Andrea D'Angelo

Lucifero vocifero

- Non sopporto questa luce, questa luce rabbiosa. Trasfigura tutto ciò che le capita a tiro… Questa luce è l’anticamera della follia.


Mi ha detto che sono pazza.
Ti ha detto davvero che sei pazza?
No, ora che ci penso non me l’ha detto. Ma lo ha pensato, ne sono sicura. D’altra parte avrebbe
avuto tutti i motivi di questo mondo per pensarlo. -


Guardatela. Esce correndo da un palazzo d’epoca. Ma una volta sulle scale smette di correre. Deve
averne perso il senso.


- C’è una cosa che però ha detto di sicuro, senza che io debba esserne sicura, ha detto – Va’ via e
non tornare mai più.
Che cosa atroce da dire. Che pretesa sciocca – mai più. Avrei dovuto chiedergli spiegazioni, è che non sono riuscita a dire nulla di fronte a quel – mai più – è un’imposizione detestabile, senza diritto di replica.
La luce continua a fare i suoi porci comodi. Solo perché è arrivata la primavera e l’aria si è fatta più leggera crede di potersi spargere nell’etere e imporre agli uomini delle pretese incongrue. Prima o poi, presto o tardi, si accorgerà di aver fatto un errore, di essere stato semplicemente vittima del suo vizio – di forma. -


Ora è ferma sulle scale, pochi gradini la separano dal marciapiede. Sembra guardare le auto che le sfrecciano davanti. Noi sappiamo che però non le guarda. Guarda invece se stessa dal di fuori. I suoi occhi sono scappati dalle orbite per andarsi a sedere su una panchina un po’ più in là, da dove possono godersi la scena.


- Che imbarazzo. Se almeno i miei occhi la smettessero di guardarmi in quel modo potrei considerare la possibilità di accusarlo per avermi detto che sono troppo piena di me. Certo che sono piena di me. Di chi o cosa dovrei essere piena, se non di me? -


Ora accenna un passo verso la strada. Scende i gradini a uno a uno, lentamente, ma sull’ultimo gradino si volta. Guarda il portone. Deve starsi chiedendo se c’è qualcos’altro da fare. A ben vedere però sta facendo l’unica cosa che può fare davvero – andarsene – non tornare mai più.


- Quanto dura un – mai più? -


Ha ruotato gli occhi verso destra, la stupida, come se stesse facendo un conto approssimativo delle piccole eternità che servono a mettere insieme un’eternità intera.


- Come se poi lui sapesse cosa sia un’eternità.

Lassù, al quarto piano, si starà rigirando una matita tra le mani mentre si chiede se ha fatto la cosa giusta. Forse fra un po’ lo vedrò precipitarsi verso di me, trafelato e confuso, giù dal primo pianerottolo che si intravede dai vetri del portone, gli scalini a due a due. -


Ma lui è ancora avvolto nel tepore del suo appartamento. Appoggiato al davanzale della finestra aspetta di vederla avviarsi in strada. Non si fa domande sull’eternità. Si chiede solo se, semmai, sia stata così veloce da non averla vista passare.
È ferito.


- Non avevo messo in conto di poterlo mai essere. Come ha potuto farmi questo? Non è una questione di gelosia. Che vada a letto con chi vuole. Non mi ruberà il sonno immaginarla mentre si concede a qualcun altro. -
La matita gli cade di mano. I suoi occhi ora sono rivolti al pavimento. Il panico lo prende, ha distolto lo sguardo.


- E se fosse passata proprio in questo momento? Ha ancora senso restare qui in attesa di un momento già passato che forse non tornerà più? Cosa posso fare adesso? Maledirò il suo nome! È tutta colpa sua. Ha invaso la mia vita senza farsene scrupolo, senza concedermi il dubbio di potermene pentire un giorno. Certo anch’io… Anch’io cosa? Cosa sto cercando di dirmi? Eccola! Eccola che si getta in strada. -


Ma l’immagine di lei che passo dopo passo scende i gradini davanti al portone è forse solo nella sua testa, perché davanti agli occhi ha già la rampa delle scale. Le scende di fretta senza essersi dato nemmeno il tempo di spegnere la sigaretta che aveva nell’altra mano.
In un attimo è fuori. Si volta, destra, sinistra, dov’è? È sparita! Ma no, eccola, all’angolo della
strada la vede in attesa che le auto la lascino passare.


Non è in attesa che le auto la lascino passare. È accanto a qualcuno. Il sole di marzo gli abbaglia la vista.


- Che strano incontrarsi così, all’angolo della strada. In poche battute non so più cosa ci faccio qui. Alzo la mano al cielo per non restare accecata e guardarlo in faccia. Mi piaci straniero. Ma a cosa pensavo?
Ah già, mai più. -


Su Andrea D'Angelo
Nato a Napoli sul finire degli anni 80 del secolo giusto, è sempre in viaggio – che sia col passo o col pensiero. Nel 2007 si iscrive al corso di laurea in Lingue e Culture Comparate – Tedesco e Giapponese – all'Orientale di Napoli, che lo porta a Berlino nel 2009, alimentando il suo desiderio di toccare con mano quello che studia. Dopo quattro salti in giro per l'Europa si laurea nel 2011, torna poi a Berlino per specializzarsi in Allgemeine und Vergleichende Literaturwissenschaft alla Freie Universität Berlin. Nel febbraio del 2015 pubblica il suo primo romanzo breve dal titolo “L’inafferrabile estetica delle scelte azzardate”. Passa il resto del tempo a leggere e scrivere, prendendo in prestito gli occhi degli altri.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.