Squarci | giovedì 29 maggio 2014

Andrea D'Angelo

Realia

Realia

Dietro l'unica finestra illuminata che affacciava sul Preußenpark, a tarda notte, qualcuno fumava
pensieroso.
‘Probabilmente è già lì che mi aspetta, nei suoi tacchi alti. Sono in ritardo, ma non posso ancora
andare. In questo momento starà pensando che non mi presenterò all'appuntamento. Ma non se
ne andrà. Tra un'ora probabilmente comincerà a chiedere a se stessa se non avrebbe più senso
rinunciare all'idea di vedermi apparire all'angolo della strada, poi si chiderà quando la sua dignità
comincerà a essere finalmente più importante delle sue aspettative. Non è carino da parte mia, lo
so.’
Si accese un'altra sigaretta.
Il vento scuoteva le chiome degli alberi e il parco appariva come una bestia feroce al risveglio da
un sonno profondo, mentre la sigaretta sembrava bruciare così velocemente da trasformare tutte
le sue scuse in un mucchio di cenere.
Improvvisamente la telefonata che stava aspettando arrivò. – Sto arrivando, non preoccuparti,
sarò lì il prima possibile.
Sua moglie aveva ascoltato la breve conversazione e la sua voce vibrò di spavento quando disse:
cos'è successo?
- Ha avuto un altro attacco, ha detto di star prendendo le sue pillole, ma non gli credo.
Prese il cappotto e corse via. Dopo essersi chiuso la porta di casa alle spalle sospirò per un
momento. Non era carino nemmeno mentire a sua moglie.
Qualche anno prima, quando non erano ancora sposati, pregò un amico di fingersi affetto da un
disturbo psichico. Ogni volta che aveva bisogno di nasconderle qualcosa una richiesta d'aiuto
poteva dargli una scusa.
Ad ogni modo in quel frangente non aveva il tempo di sentirsi in colpa. Saltò in sella alla sua
bicicletta e cercò di distogliere l'attenzione da ogni rimorso che potesse affiorargli alla mente. Che
tentativo stupido! Se si fosse concesso per una volta di essere semplicemente se stesso quell'auto
forse non l'avrebbe investito.
Dell'ultima notte della sua vita resta solo il rumore dell'ambulanza accompagnato dalle luci rosse
lampeggianti che non vide mai.

Sul ponte che si allunga all'uscita del Bodemuseum e che collega le due rive della Sprea lei era
ancora lì ad aspettarlo. La musica di un violino, suonata da un giovane altro e biondo,
accompagnava l'armonia caotica di quella ventosa notte di primavera.
I suoi occhi erano fissi sullo scorrere del fiume, le sue orecchie cercavano di mettere ordine tra i
pensieri confusi che aveva nella testa coprendoli di musica.
‘Non verrà. Come ho potuto credergli? Queste cose succedono solo nella letteratura di cattivo
gusto.’
La musica si fermò e il musicista fece per andare via.
- La prego non si fermi. Solo un altro po'.
- Sono molto stanco.
- La prego, non c'è niente di cui abbia più bisogno in questo momento. Posso pagare.
C'era qualcosa in lei che lui non riusciva a cogliere, era come se nascondesse una segreto, con
discrezione.
- Solo un altro po'.
E mentre riprendeva a suonare la guardava fissare di nuovo lo scorrere del fiume. Gli sembrava
Violetta presa dai suoi struggimenti ne La Traviata. Si ritrovarono a respirare lo stesso dolore e la
stessa bellezza ovunque intorno a loro e fu come se tutto sublimasse in un momento di
perfezione.
La musica si fermò di nuovo e lui le andò incontro. La vide piangere e l'abbracciò.
- A volte, camminando per le strade di questa città non riesco a vedere altro che fantasmi che
sognano di diventare reali.
- Cosa?
- Entità diafane. Nient'altro che apparenza. Ombre su un palco.
- E noi siamo reali?
La baciò e poi la prese per mano, invitandola a nascondersi con lui dietro a una colonna.
La tristezza che l'aveva avvolta nell'attesa del suo Godot sparì all'improvviso. Forse quella notte
avrebbe potuto essere un punto di svolta che avrebbe rimesso in discussione tutte le conclusioni a
cui l'aveva portata la vita. E per un attimo allora decise di credere. A lui però quell'attimo di fede
non bastava. E quando provò a toccarla fra le gambe la scoprì donna in ogni parte del suo corpo,
tranne lì.
- Dio, che schifo!
Le diede un pugno in faccia. Lei cadde, il naso le sanguinava.
Cominciò a prenderla a calci, soffocando le sue richieste di fermarsi.
Finché non si fermò, prese il suo violino e la colpì in testa.
- Cosa ho fatto? L'ho uccisa.
Spaventato e confuso, scappò via.
E le luci della città continuavano a riflettersi nel fiume, mentre lui non riusciva a vedere altro che il
grigio che si portava dentro e il rosso che gli sporcava le mani.

- Corri! Corri! Dove? Va' a casa.
Quando aprì la porta di casa intorno a lui non si ritrovò altro che silenzio. Sua moglie e sua figlia
stavano già dormendo e sulla tavola della cucina c'era ancora una fetta della sua torta di
compleanno. Accanto alla torta il display della sua macchina fotografica mostrava ancora una delle
foto che avevano scattato a cena prima che uscisse a ubriacarsi con gli amici. Poggiò il violino sulla
tavola e toccò la macchina fotografica. La macchia rossa che vi lasciò sopra gli ricordò di avere
ancora le mani sporche.
Guardando fuori dalla finestra sperò che la luna fosse l'unica testimone di ciò che aveva fatto
quella sera.
Si lavò le mani e andò a letto.
Quando si svegliò la mattina dopo i ricordi della notte precedente gli sembrarono essere solo un
incubo. Si sentiva come un uomo nuovo e non fu per niente difficile alzarsi e fare una doccia,
mentre sua moglie e sua figlia già facevano colazione in cucina.
Ma quando entrò in cucina e sua figlia gli disse – Buongiorno papà! – vide oltre di lei che in
televisione stavano dando la notizia di un transessuale che era stato trovato morto davanti al
Bodemuseum a Berlino.
- Buongiorno. – Le rispose e poi le sorrise, pensando che non ci fosse alcun motivo per rovinare le
ultime ore di una vita normale. Non sapeva che non sarebbero state le ultime. La polizia non
avrebbe mai scoperto chi avesse ucciso il transessuale e in un paio d'anni anche la sua paura di
essere scoperto sarebbe svanita.

Quella mattina sua moglie si era svegliata molto agitata. La sera precedente, alla cena per il
compleanno di suo marito, aveva promesso a se stessa che si stava lasciando alle spalle l'ultimo
giorno di menzogne. Un anno prima aveva conosciuto una donna a una festa della scuola
elementare che frequentava sua figlia. In quel momento si era sentita viva per la prima volta.
Prima d'allora non aveva mai pensato che fosse possibile provare dei sentimenti così forti per
qualcuno. Dopo il loro primo incontro cominciò a prendere parte a qualsiasi attività della scuola
nella speranza di rivederla. E qualche mese dopo le confessò il suo amore. Inaspettatamente
scoprì che il suo amore era ricambiato e insieme decisero di lasciare i rispettivi mariti e andare a
vivere insieme.
Quello sarebbe stato il giorno fatidico. Quando suo marito uscì per andare a lavoro aveva
un'espressione pensierosa sul volto e la paura che lui sapesse cosa avesse intenzione di fare le fece
provare una grande pena.
Questa sensazione non l'abbandonò mentre faceva le valige e le sembrò che il tempo scorresse
troppo lentamente.
Alle 11 in punto l'unica persona che aveva mai amato avrebbe dovuto passarla a prendere eppure
non era ancora lì.
‘È in ritardo, lei non è mai in ritardo...’
- Dove sei?
- Mi dispiace, ma è successo qualcosa di orribile.
- Di cosa stai parlando?
- Mio marito ha avuto un incidente ieri notte… È morto. Ora devo andare, ti richiamo.
Da quel giorno, sono ormai due anni che aspetta quella telefonata.


Su Andrea D'Angelo
Nato a Napoli sul finire degli anni 80 del secolo giusto, è sempre in viaggio – che sia col passo o col pensiero. Nel 2007 si iscrive al corso di laurea in Lingue e Culture Comparate – Tedesco e Giapponese – all'Orientale di Napoli, che lo porta a Berlino nel 2009, alimentando il suo desiderio di toccare con mano quello che studia. Dopo quattro salti in giro per l'Europa si laurea nel 2011, torna poi a Berlino per specializzarsi in Allgemeine und Vergleichende Literaturwissenschaft alla Freie Universität Berlin. Nel febbraio del 2015 pubblica il suo primo romanzo breve dal titolo “L’inafferrabile estetica delle scelte azzardate”. Passa il resto del tempo a leggere e scrivere, prendendo in prestito gli occhi degli altri.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.