Squarci | lunedì 13 maggio 2013

Silvia Scognamiglio

Attimi

È una mattina di primavera, una delle prime della stagione. Il sole è caldo e splende sulla città che comincia a uscir fuori dal grigiore invernale per splendere nella luce calda che avvicina all’estate.
Una nuvola passeggera getta ombra su una piazza.
È affollata. Ragazzi divertiti prendono il sole seduti sui gradini di una cattedrale avvolta dalle impalcature; delle chiassose e colorate scolaresche ammirano i monumenti e le bancarelle del centro storico; giovani mamme portano in giro bambini ancora incerti nel camminare, che con i loro movimenti impacciati e nei loro giubbini gialli e azzurri cercano di correre per raggiungere i piccioni che popolano il centro dello spiazzale; anziani signori in vestiti ancora invernali parlano tra loro sulle panchine vicino all’edicola in fondo alla piazza, osservando la città e aspettando il tempo che passa per rientrare a casa.
È una piazza affollata, ma non per tutti.
Seduti sui gradini, un po’ impacciati, un ragazzo con un berretto blu porge un mazzo di fiori dai colori sgargianti ad una ragazza dagli occhi dolci e i capelli scuri. Indossa un giubbino rosso e cerca di coprire con degli occhiali scuri i suoi occhi chiari, che la ragazza prontamente gli sfila via con un sorriso.
In quel gesto, le mani si sfiorano. Le guance si infiammano. Gli occhi rispondono a domande non fatte.
Un abbraccio, di quelli desiderati da tempo.
E ridono con tenerezza osservando quei bambini che nella loro rincorsa ai piccioni si sono fermati proprio davanti ai loro gradini. Le mani sono intrecciate e i visi felici, in quell’abbraccio che ancora non si scioglie.
Le ore passano, e sempre più frequentemente si controllano le lancette dell’orologio che corrono, rubando il tempo che diventa troppo breve in quel chiasso silenzioso che li circonda. Tutte le parole dette su quei gradini non bastano più, vorrebbero un seguito che desse loro un senso.
Un telefono squilla. Lei si alza per rispondere, allontanandosi di qualche passo. Lui anche. Prende la sua bicicletta nera e, accennando verso di lei un saluto con la mano, si incammina via, per quella piazza assolata, verso una casa dove rimpiangerà quello che non è stato, e nello stesso tempo sarà felice per quel paio d’ore rubate alla normalità della vita, per quell’incontro controcorrente nel flusso regolare delle loro parallele esistenze.
Ancora con il telefono stretto in una mano, lei, che non ha smesso un attimo di seguirlo con lo sguardo, lo rincorre, chiamandolo a bassa voce per nome, come se il suo volto fosse ancora a cinque centimetri dal suo, stretto in quell’abbraccio. Lo raggiunge e, stringendo ancora i suoi fiori rosa, lo guarda negli occhi. Un altro attimo rubato, un’occasione da prendere al volo. La bacia. E tutto il resto, da silenzioso qual’era, si ferma. Un attimo immobile, che da modo soltanto a loro due di sentirsi davvero.






Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.