Squarci | martedì 29 gennaio 2013

Andrea Corona

Scià mat

In casa di Lord Sheldon, al tavolo della cena, l’uomo parla e la donna ride. Perché ride? Jackson è un medico, non un giullare. Di che ride allora la moglie di Sheldon? A giudicare dal desiderio che la anima, il padrone di casa capisce di cosa ride. Ride di lui.

«E voi, Sheldon, che ne pensate?» chiede Jackson dall’altro capo del tavolo.

«Che ne penso di cosa?»

«Di quel che si diceva con Charlotte…»

«Chiedo scusa… ero sovrappensiero…»

Lord Sheldon appare stanco e provato.

«Anzi, se permettete, vado a riposare. Vogliate scusarmi.»

Il padrone di casa si ritira, e i due amanti rimangono soli.

«Jackson, credi che sospetti qualcosa?»

«Sospettare? Il vecchio ha capito tutto.»

«Quel maledetto! Può accusarmi di adulterio e sbattermi in mezzo a una strada! E questo è un rischio che non voglio correre!»

«Non lo farà.»

«Come fai ad esserne così sicuro? Hai appena detto che…»

«L’ho drogato».

«Tu… cosa hai fatto?»

«Non ho avuto scelta. Hai idea di cosa accadrebbe se la nostra relazione venisse scoperta? Non sei la sola a correre dei pericoli. E poi l’ho fatto per noi, per il nostro futuro insieme.»

La donna, frastornata, rivolge un’occhiata interrogativa al suo amante, che prosegue:

«Ascoltami bene, perché da stanotte non sarai più la Signora Sheldon, ma la vedova Sheldon. Tu pensa a recitare la tua parte che io penserò alla mia… E abituati alla vedovanza, perché presto ci saranno i funerali di tuo marito.»

Un misto di eccitazione e timore riecheggia nella voce della vedova:

«Jackson… quello che stiamo per commettere non è omicidio, vero? Insomma, lui sarà ancora vivo quando noi lo…»

«Naturalmente! La droga che gli ho messo sul bicchiere non è letale, serve solo a dargli quella rigidità muscolare sufficiente a farlo sembrare morto. È un piano perfetto, nessuno ci scoprirà»

«Ma sei sicuro? Mio marito è molto ricco, c’è un’immensa fortuna in gioco e le autorità chiederanno sicuramente di vedere il corpo! E allora lo esamineranno e…»

E l’uomo, sornione, spiazza la sua amante:

«Anche se a scrivere il certificato di morte sarà il medico più brillante in circolazione?»

«Hai pensato già a tutto, dunque…»

«Certo, te l’ho detto che con me sei al sicuro.»

Ora anche la donna sorride.

«Vieni, Jackson… Vieni qui e dammi un bacio…»



«Pronto con gli elettrodi?»

«Sì, professore. Sono pronto.»

Il professor Alonysius e il suo assistente Gork abbassano le leve all’unisono. Scintille e scariche elettriche si propagano nel laboratorio. Ma gli effetti dell’esperimento non sono quelli auspicati. Il risultato dell’operazione, infatti, non è che un forte puzzo di carne bruciata.

«No… No… Non è possibile… Ho fallito di nuovo…»

«Forse dovremmo smetterla di provare a resuscitare i morti, professore. È già il terzo esperimento fallito, questa settimana…»

«Logico! Non fai che portarmi dei cadaveri troppo decomposti!»

«Calmatevi, professore. Se continuate a farvi venire il sangue amaro ogni volta che sbagliate, vi ammalerete…»

«Omuncolo impertinente! Che ne sai tu di scienza?»

«Ma, professore, ormai non fate più parte della comunità scientifica e…»

«Quei buffoni mi hanno cacciato via come un lebbroso! Ed io voglio rientrarvi dalla porta principale! Esserne riammesso con tutti gli onori!»

«Questo allora vuol dire…»

«Vuol dire che riproveremo finché non sarò riuscito a vincere la morte!»

«Professore, perdonatemi, ma andando avanti di questo passo finiremo per svuotare il cimitero…»



Lord Sheldon giace nel suo letto, rigido, immobile. La vedova è impressionata dall’innaturale fissità di quel corpo.

«Sembra morto…»

«Dici bene, mia cara. Sembra morto, ma ti assicuro che è vivo e vegeto. E che può ancora provare dolore, freddo, fame, paura. In questo momento, ad esempio, ci sta ascoltando.»

Detto questo, il dottore estrae un grosso ago dalla borsa.

«Caro, non capisco cosa vuoi fare…»

«Una prova. Solo un’ultima prova.»

«Non vorrai…»

«Voglio controllare che non finga. Che la droga sia stata davvero efficace.»

Jackson punge il nobiluomo ad un piede. Poi ad un braccio. L’enorme ago, delle dimensioni di uno spillone, penetra le carni, infilzandole. Terminata la sua verifica, Jackson pulisce lo strumento dal sangue e lo ripone nella borsa, ancora aperta, posta ai piedi del letto.

Negli attimi in cui ha assistito alla macabra operazione, Charlotte ha già avvertito la vedovanza. Ma quando il suo sguardo incrocia quello del marito, è costretta suo malgrado a prendere piena coscienza di ciò che sta accadendo. Negli occhi di quell’uomo immobile, infatti, c’è vita. Charlotte lancia un grido e si ritrae inorridita, ma il dottore la stringe per le spalle e la invita a farsi forza.

«Non era forse quello che volevi? Liberarti di lui per sempre? Ebbene: ora sei libera. Siamo liberi. Il nostro amore è finalmente libero. Dovremo solo rispettare il lutto per un po’, e poi ci sposeremo. Guardalo, non devi aver paura di lui: non può farti niente.»

Charlotte si riavvicina al letto e guarda il suo inoffensivo marito.

«Sei morto, finalmente…» sussurra. Poi, improvviso, un moto di rivalsa la pervade. E di colpo i sussurri diventano grida:

«Sei morto, morto! Ti odio! Ti seppelliremo vivo! Maledetto!»

In preda all’ira e all’isteria, la donna afferra lo spillone dalla borsa ancora aperta.

E dà sfogo a tutta la sua frustrazione.



«Dannato professore! Un altro cadavere! Se qualcuno mi becca… mi tocca la forca…»

È notte. Gork è di nuovo al cimitero, con la sua pala e la sua lanterna. Brontola, mentre scava.

«Almeno le sepolture recenti hanno un terreno morbido, più facile da smuovere…»

La pala tocca finalmente la bara.

«Guarda un po’… Questo qui ha davvero un bell’aspetto, mai visto un cadavere più bello… Il professore sarà contento…»

Ma, al laboratorio, la reazione di Alonysius non è quella auspicata.

«Sei impazzito? Rispondi!»

«Ma, professore, non siete stato voi a rimproverarmi affinché vi portassi dei cadaveri freschi? Ebbene, cos’ha questo che non va? A me pare molto ben conservato e…»

«Cane! Non vedi i segni sul braccio? I segni del vaccino? Mi hai portato il cadavere di un nobile! Vuoi farmi impiccare?»

«Capisco la vostra costernazione, ma pensate invece a ciò che accadrebbe se riportaste in vita un aristocratico, e alla gloria che ne seguirebbe…»

La replica di Gork, quanto mai arguta, è più che sufficiente a placare l’ira dello scienziato.

«E sia! Mettiamoci all’opera, dunque. Pronto con gli elettrodi?»

«Sì, professore. Sono pronto.»

Stessi gesti, stessa procedura. Una prassi che le mura del laboratorio conoscono fin troppo bene. Ma stavolta l’esperimento ha un esito diverso.

«Uh!…» Il nobile spalanca gli occhi e cerca di articolare dei suoni. Guarda i due uomini, che lo fissano di rimando, esterrefatti. A rompere il silenzio è Alonysius:

«State giù… Non agitatevi… Adesso ci occuperemo noi della vostra salute…»

Bastano pochi minuti per ristabilire l’uomo tornato dalla morte.

«Ascoltatemi, professore. Debbo dirvi qualcosa.»

«Per carità, non ringraziatemi… Il miglior modo di ripagarmi sarà accettando di venire con me a un congresso medico. Lì vi mostrerò a tutti e…»

«No, debbo spiegarvi… Non è giusto che voi crediate…»

«Ma non capite? Vi ho riportato alla vita! Ora quei cani della comunità medica dovranno rispettarmi! Soprattutto quel maledetto che mi ha dato del pazzo… il dottor Jackson!»



L’indomani, all’università, l’aula è gremita. Come sempre, quando è Jackson a conferire.

«Signori, buongiorno. Come vostro Presidente, mi riprometto di raggiungere presto qualche risultato…»

«Io l’ho già ottenuto!»

A interrompere la conferenza è lo scienziato pazzo.

«Tu?»

«Io, esatto. Proprio io. Il disgraziato, lo stupido, il pazzo…»

«Alonysius, vuoi fare il pagliaccio? Ci hai già fatto ridere abbastanza in quest’aula, l’hai dimenticato? O credi che questo sia un circo?»

Tutti ridono. Jackson eccelle nell’arte di ridicolizzare i suoi avversari. Ma Alonysius non si scompone e non cade nella provocazione. Oggi non ha l’aria stravolta di sempre. Appare anzi calmo, pacato, sicuro di sé. Quasi affascinante. Poi, improvviso, l’annuncio:

«Sono riuscito a vincere la morte.»

Risate. Ancora risate. Tante risate.

«Fate bene a ridere. Da oggi la morte farà soltanto ridere. Il caso che vi presenterò è al di sopra di ogni sospetto, visto che il certificato di morte è stato firmato dal vostro stesso Presidente. Volete farmi il favore di entrare, Lord Sheldon?»

«Ma che…?»

Jackson trema. Charlotte, seduta in prima fila, impallidisce.

«Mio Dio…» sussurra la donna, con un filo di voce.

«Ti saluto, mia cara. Sono tornato.»

«Dio… Dio… Dio…»

«Non vedo l’ora di essere di nuovo a casa. Da solo con te.»

_____

*Scià mat è l’espressione persiana dalla quale deriva “scacco matto” e che letteralmente vuol dire “il re è morto”, “il re è stato catturato”.


Su Andrea Corona
Laureato in Filosofia presso l’Università di Napoli "L’Orientale". Socio benemerito dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli, collabora con la casa editrice Orientexpress. È autore di un saggio in volume sulla semiotica del gesto nel gioco e nello sport ("Giochi ringhistici", Kimerik, 2009) e di vari saggi brevi, pubblicati nelle riviste "Filosofi per caso" e "Lab/Or", su Milan Kundera, Samuel Beckett, Victor Hugo e Saul Bellow. Scrive inoltre per il web: articoli di estetica e di ermeneutica per il sito "Arteggiando" e recensioni letterarie per i siti "Racconto Postmoderno", "Scribere Artem", "Sognando Leggendo" e "Temperamente".

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

Neuro dunque sono, di Andrea Corona (Gli Ibischi, 2013)