Squarci | venerdì 16 novembre 2012

Laura Coletta

OUT OF PERSONALITY

Mi sembrava esageratamente biondo per i suoi quarant’anni. Lo sguardo era perso tra le carte e quel camice era troppo bianco, troppo pulito. Mi metteva ansia.
- Almeno la mano – pensai.
E la mano arrivò, con quella stretta fredda e debole, che mi rese ancora più agitata. Ho sempre diffidato delle persone che non ti stringono la mano con veemenza. Che te la offrono passivamente, o lei stessa si offre a te, come accade per quei gesti desueti del galateo. La stretta di mano è il preludio della conoscenza, è il tuo lasciapassare. È come il sorriso, o lo sguardo, se ti colpiscono sei già a buon punto.

- Gente senza spina dorsale – mi dissi.

Pensai a me, alle mie mani vigorose, che tradivano una figura sottile e delicata. Delicata…quante volte avevo sentito questo aggettivo associato al mio nome, e quante volte mi stupivo di come questi si sposassero perfettamente! Sembravano due monadi complementari, ritmicamente perfetti in una frase che mi sembrava una cantilena. «Silvia è delicata, troppo.» Quel troppo era un pugno nello stomaco.

- Ha fatto qualcosa ai capelli? – mi disse all’improvviso il giovane medico.
- Sono lisci. Non mi piaccio riccia. – risposi.
- Ma sono i suoi, sono naturali.
- Sono irregolari, sempre arruffati, ingestibili.
- Come lei, avrà pensato.
- Forse.

La stanza era fredda, impersonale, come tutte le stanze di laboratorio. Per quell’esperimento avevo pagato una cifra esorbitante, fuori dalle mie possibilità. Del resto ero abituata, io, ad agire fuori dalle mie possibilità. «Si tratta di un metodo sperimentale importato dall’America», mi avevano spiegato, «lo chiamano Out of personality». «Certo che l’inglese funziona sempre», era stato il mio primo pensiero.

- Questa cosa della personalità, dottore…non so se voglio continuare.
- Le assicuro che tutte le pazienti reagiscono allo stesso modo dopo le prime sedute. Ma stia tranquilla, si tratta di una sensazione passeggera, che svanirà verso il termine dei nostri incontri.

Durante i miei colloqui terapeutici avevo sempre rifiutato di stendermi sull’invitante poltrona bordeaux del laboratorio, che stonava con quell’insopportabile giallume dei neon. Volevo essere vigile, pronta a scattare in caso di pericolo. Dai pericoli si fugge sempre, ma io devo prima raggiungerli.

- Ho riascoltato le registrazioni delle nostre ultime conversazioni, dopodiché ho stilato una prima bozza di personality, vorrei che ascoltasse la mia proposta. – mi comunicò l’uomo.

Le gambe cominciarono a farmi male, come un taglio nel vetro. Tutto si stava concretizzando, arrivavo al pericolo, forse era il caso di scappare. Scacciai il pensiero, amavo sfidare il mio batticuore.

- Abbiamo delineato per lei un nuovo profilo, estremamente interessante. Non avrà più bisogno della psicoanalisi, con questo trapianto di personalità. Potrà finalmente essere felice con una nuova vita adatta alle sue inclinazioni.
- Forse non è il caso, dottore. Forse sto bene così, in fondo.
- Su, su, non abbia timore. La sua è una reazione più che giustificabile. Ma si ricordi quando è arrivata da noi: infelice, depressa, con lo sguardo perso nel vuoto.
- Mi sento meglio, credo. Non è tanto male la mia vita, sa? E poi con gli psicofarmaci…
- Gli psicofarmaci non hanno funzionato, lo sa benissimo. E nemmeno la terapia ipnotica. Vuole continuare a subire una vita che non ha scelto, con un lavoro e una vita sentimentale inappaganti?
- No…
- Su, ricapitoliamo brevemente. Mi riassuma per l’ultima volta i punti cardine della sua esistenza.
- Beh…dottore, ma già li conosce.
- Avanti, si faccia coraggio. Prenda coscienza di sé.
- Allora, sono un docente di letteratura spagnola e amo i miei ragazzi, anche se li vorrei più appassionati. Sono sposata con un ufficiale dell’esercito, un brav’uomo. E poi, ho quattro figli. La mia vita ruota intorno a loro, ma non mi pesa.
- Non le pesa…
- Sì, beh, ogni tanto vorrei del tempo in più per me. O forse, vorrei che il tempo fosse solo per me. A volte mi sembra di vivere per riflesso, della felicità altrui.
- E non le sembra un buon motivo per cambiare vita? Ci pensi: può scegliere di ripartire daccapo, bruciando tutte le tappe. Può scegliere di essere felice. Le abbiamo già spiegato il procedimento. Noi le proponiamo una sorta di pacchetto esistenziale, che include una nuova personalità, un nuovo lavoro, nuovi affetti e orizzonti. Il trapianto di cui le accennavo avverrà attraverso un ciclo di sedute psicoanalitiche. Deve solo accettare e seguire le nostre indicazioni. Dopo, si sentirà come rinata e potrà godersi la sua nuova vita. A tutto il resto, pensiamo noi.
- Sembra facile. E mio marito? Non riuscirebbe a gestire la famiglia da solo. Gli devo tutto, la mia serenità. Sono innamorata del suo amore per me. Sì, lui mi ha permesso di essere la donna che volevo essere.
- Ma se le dicessi che potrebbe essere una danzatrice…
- Una danzatrice?
- Sì, una ballerina professionista. È la personality con maggiore probabilità di successo in un soggetto come lei. Il tasso di felicità che potrebbe raggiungere supera il novanta per cento. Legga il referto, questi sono i risultati della sua cartella clinica.

Il mio sguardo era completamente annebbiato. Mi sforzai di trovare qualche termine familiare tra la sfilza di angoscianti paroloni tecnici.

- Si immagini – continuò l’uomo, noncurante - Una donna forte e in carriera, indipendente. Lavora per la compagnia internazionale El Ballet de Montecarlo. È sempre in tournée, il palcoscenico è tutta la sua vita, l’unico luogo in cui si sente realmente se stessa, realmente appagata.
- E la mia famiglia?
- Ha un compagno, un collega. Un uomo bellissimo, non un brav’uomo. Un uomo che ama, che la fa sentire viva. Certo, poco affidabile, ma questo fa parte del pacchetto. La donna che lei potrebbe essere vive di sentimenti.

Il dolore alle gambe si fece più forte. Credetti di svenire. No, questo gioco non poteva più andare avanti, i miei sospetti si erano concretizzati. Cos’era per me, la felicità? Tutto quello che non avevo, tutto quello che non ero. Bastava capirlo e imparare a conviverci, a convivere col desiderio irrefrenabile di aprire tutte quelle porte socchiuse della mia vita.

- Mi dispiace, dottore, ma non me la sento. Le pagherò quanto le devo, ma va bene così.

Uscii con finta disinvoltura dalla stanza, sentivo su di me lo sguardo limpido e grave dello psichiatra, potevo immaginare i suoi pensieri. «Donna inconcludente», avrà pensato.
Mi asciugai il sudore dietro la nuca, legai i capelli, guardai l’orologio.

- Le dieci e un quarto – dissi ad alta voce.

L’aereo per Montecarlo sarebbe partito alle due. Avevo lasciato le valigie in aeroporto, tranne il borsone, quello lo porto sempre con me.

- Non posso perdere il volo – pensai - Farò tardi per le prove in teatro.

Temevo di non essere ritenuta un soggetto idoneo all’impianto di personalità quando varcai la soglia di quel centro per la prima volta, per questo avevo dato vita alla mia più grande impostura: mi inventai un lavoro, una villa con giardino, un marito e quattro marmocchi impertinenti. Ma a volte la realtà si impone a noi nei modi più bizzarri: per guarire dovevo trasformarmi in quello che già ero, una ballerina.
È questa la vita che vogliono per me, quella che io stessa ho scelto liberamente e che non mi rende felice. Ma forse la felicità non si conquista, è solo un modo di essere.

- Devo andare in farmacia, ho finito gli psicofarmaci. E la valeriana, sì, la valeriana non la devo dimenticare. – fu il mio stanco pensiero, prima di salire sul taxi.

Pensai che dovevo chiamare Jean, e che forse non mi avrebbe risposto. Per via delle prove, o per via di quell’altra. Erano quattro giorni che non si faceva sentire.

- Mi fermi qui, grazie.

Che fastidio le insegne verdi lampeggianti delle farmacie. Mi mettono ansia.



Su Laura Coletta
Classe 1988, Caserta. Laureata in lingue e letterature straniere vive di grandi passioni, come quella per la letteratura, e da qualche tempo scrive e traduce per il blog Asterischi.it. Si definisce prima di tutto una traduttrice, nonostante il suo forte interesse per la scrittura creativa. Del resto, un traduttore è quasi sempre uno scrittore, mancato o meno.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.