Squarci | lunedì 29 ottobre 2012

Serena Ammendola

Tardi

Siamo intervenuti troppo tardi, dice il medico. Non capisco e non voglio capire quello che dice.

Mi metto a pensare.

È tardi. È troppo tardi. Troppo.

E continuo a pensare.

Quante volte mi è capitato di fare tardi, in vita mia. È stata come un'abitudine, per me, quasi un modo di essere.
Talvolta, diventavo addirittura una barzelletta, per gli amici. Sei in ritardo! Mi rimproveravano quando mi venivano a prendere il sabato sera, quando si usciva insieme. Ma quel ritardo era sempre compensato dalla mia insostituibile allegria, dalla mia forte presenza. E, poi, si stava con gli altri, si rideva, ci si rilassava senza più guardare l'orologio, la serata era comunque meravigliosa e dimenticavamo, tutti, di non averne goduto l'inizio.

Tardi.

Il medico ha detto che è tardi. Oggi è troppo tardi perché io possa affrontare e vincere la mia malattia.

Tardi.

Che bello tirare tardi la sera! Andare in giro, anche senza meta, per le strade della città, scoprirne spazi e punti di vista che ti appaiono del tutto nuovi, di notte, tardi.
Da giovane ti fa sentire adulto, da adulto ti regala un soffio di gioventù.

Qui e ora, tardi è male.

Tardo strategicamente qualche minuto, di solito, anche quando devo incontrarmi con mio marito, magari per pranzare o cenare insieme. E per trovare anche con me stessa una giustificazione a un difetto che ho sempre sentito cronico, mi cullo nella convinzione che serva ad accrescere il desiderio che abbiamo l'uno dell'altra. Un ritardo ad arte, questo, di grande e sicuro effetto: qualche minuto, sufficiente perché lui si chieda dove sia finita e mi abbracci più forte quando mi vede, finalmente.

Tardi è anche oggi, ma non è la stessa cosa. Non è divertente, non ripaga.
Per la medicina è troppo tardi perché io possa desiderare di continuare a vivere.

Tardi sono arrivata, ovviamente, anche il giorno delle mie nozze. Ma quale sposa non è in ritardo? Il ritardo, in quella cerimonia fa addirittura parte del rito, è una cosa che tutti si aspettano e alla quale sono già in partenza rassegnati. Nessuno potrebbe immaginare un sacerdote che ti dicesse: è troppo tardi, sa? È inutile che lei sia venuta, torni pure a casa, non si sposa più. Il ritardo sta scritto nelle regole del gioco di quella giornata, gli invitati ne sono al corrente e non oserebbero confessare il loro fastidio se non camuffandolo con qualche battuta di spirito. Per lo sposo, poi, il ritardo della sposa che si lascia attendere è quasi di buonaugurio.

Tardi.

Quando perdi l'autobus di prima mattina e ti rendi conto che è tardi... poco male.
Fai tardi al lavoro? Recupererai.
Troppo tardi, ancora, per fare questo o per quest'altro? Si fa domani, lo fa qualcun altro, si può aspettare, si risolve, comunque.

Oggi non si risolve.

È tardi.

Eppure era talvolta addirittura dolcissimo il suono di quella parola... tardi… quando significava che il risveglio poteva aspettare, per esempio, che potevi alzarti più tardi, che saresti rimasta a coccolarti nel lettone aspettando, indifferente, la luce, lasciando che la giornata cominciasse prima per gli altri. Per te, poteva aspettare. Allora preferivi fare tardi.

Oggi, è tardi e basta.

Oggi vorresti non aver sprecato neanche un attimo della tua vita, ti piacerebbe poter trasformare in 'presto' tutti i tuoi 'tardi' per avere la sensazione di avere anche solo un po' di passato in più che possa, adesso, adesso che il futuro ti si nega, avvolgerti con le sue pietose carezze.

Ma è troppo tardi.


Su Serena Ammendola
Serena Ammendola è nata e vive a Napoli dove insegna Lettere al liceo scientifico G. Mercalli. Scrive per non dimenticare ciò che vede, per incidere ricordi nella memoria. Ama meravigliarsi. Sempre. Fotografa l’orizzonte; è alla continua ricerca di colori da catturare con lo sguardo e con l’obiettivo. Non può fare a meno del blu ma ogni colore ha qualcosa da suggerirle.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

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