Squarci | mercoledì 18 luglio 2012

Vincenzo Cioffi

Il diavolo e l'acqua santa

L'ennesimo giorno buttato a vagare in questo schifo di città, mi reggevo in piedi a stento, ma era anche normale visto che la mia bottiglia di bourbon era quasi finita e prima il mio amico Val aveva aperto una bottiglia di ottimo rosso. Nelle tasche non avevo nemmeno un soldo bucato, l'ultimo assegno di un lavoro, finito oramai troppo tempo fa, l'avevo bevuto. Fino al fondo. Ora il fondo lo stavo raschiando dopo averlo toccato per l'ennesima volta. Il proprietario mi aveva sbattuto fuori, non vedeva i miei soldi da qualche mese. Meglio così, dividevo i miei due metri per tre con pidocchi e acari e ne avevo abbastanza. Per qualche tempo la mia donna mi aveva ospitato, scopavamo dalla sera alla mattina e nel tempo libero bevevamo, un bel giorno quella troia dice che vuole qualcosa di serio, che devo sposarla, le mollai due sberle e me ne andai. Gli amici, certo quelli mi aiutano sempre, un tetto ogni tanto, del buon liquore, ma passati un giorno o due, come ogni ospite e pesce che si rispetti, puzzo e mi ritrovo per strada a comprare bottiglioni di whisky scadente e dormire sulle stazioni. “Cazzo si gela, questa è la volta buona che ci resto secco.”
Non sapevo dove dormire, la stazione era lontana e di parchi in quella zona nemmeno a pagarli. Mi infilai in un vicolo cercando un posto riparato dal vento dove poter stendere il giubbotto, sperando di non risvegliarmi assiderato tra le grazie del signore.
Il vicolo era una specie di galleria del vento dell'architettura spicciola. Ogni millimetro quadrato di quel budello infernale era spazzato da un gelido vento invernale. Forse la buona sorte mi avrebbe aiutato a trovare un portone aperto, un buco per un ratto come me. Maledetta epoca della paura, non un'anta accostata o un portoncino aperto.
“Questa è la sera che muoio. Chiudo gli occhi e addio Vinnie, almeno non soffro.”
La strada sembrava allargarsi in uno spiazzo. La piccola piazza era il cortile esterno di una chiesetta. Arroccata tra i palazzi adiacenti, ne seguiva lo stile sporco e decadente. Per un attimo strizzai gli occhi per accertami che non fosse una visione, poi misi a fuoco e sì, il portone era spalancato. Senza nemmeno pensarci su un solo secondo mi fiondai dentro.
“Dio mi ha salvato? In effetti tra tutti i suoi figli io sono il migliore. Peccato per quella storia dei comandamenti, ma proprio non riesco a vivere un giorno senza infrangerne un paio.”
La singola navata era spoglia, un piccolo altare la sovrastava, l'unica decorazione era un grosso crocifisso in legno senza nemmeno la statua del cristo sopra. L'acquasantiera era vuota, in compenso un cestino con la scritta “offerta per i poveri” aveva al suo interno qualche banconota. Le afferrai e le infilai in fondo alla tasca.
“Più povero di me stasera non entrerà nessuno.”
Nell'angolo dell'altare sedeva un prete, raccolto in se stesso, come se pregasse. Era giovane, i capelli biondo paglierino erano leggermente spettinati. Un velo di barba copriva il viso piacente, gli occhi chiari fissavano un punto imprecisato davanti a lui.
“Buonasera.”
Per un attimo il blu dei suoi occhi mi pesò addosso come un macigno. Abbassò il capo in un cenno di saluto.
“Le dispiace se mi metto qui a pregare?”
Non rispose e tornò a contemplare il vuoto. Mi gettai a peso morto su una panca.
Da bambino con la nonna andavo in chiesa tutte le settimane e recitavo la solita nenia. Madonna, madonnina, non mi lasciare mai solo, angelo custode difendi e proteggi la mia strada.
Dal portone un'ombra si stagliò sulla navata centrale, mi voltai per guardarlo, era un ragazzo sulla trentina. Camminava con passo lento verso l'altare, con gli occhi fissi al crocifisso. La sua voce era profonda, sembrava venisse da molto lontano.
“Sei qui, quindi?” disse al prete.
“Ti aspettavo”
“Allora è vero che vuoi farla finita?”
“Ed è quasi ora non pensi?”
“Perché adesso? Cosa è cambiato di così sostanziale da farti prendere una tale decisione?”
“Sono arrivato al punto in cui non riesco a tollerare altro.”
“Tu sei il solito bastardo, ti piace giocare con il potere che hai vero? Questo non è il tuo esperimento malato hai capito? Questa volta ti sei spinto troppo oltre e te lo dissi all'epoca.”
“Ti ho sempre amato più di ogni altro e lo sai, ma non hai mai capito il mio progetto, hai tentato di sabotarmi fin dal principio. Dicevi di odiare la mia creazione, ma hai comunque deciso di vivere tra loro, ti sei sempre considerato meglio di me, ma ti sfugge un passaggio. Io sono perfetto e tutto quello che faccio fa parte di un piano, che tu essendo parte della mia creazione non puoi capire. Per quanto illuminato, sarai sempre un gradino più in basso.”
“Tu non ti rendi conto, razza di pazzo visionario! Loro sono cresciuti, io ho dato loro la conoscenza che tu gli avevi proibito, speravi in un'adorazione cieca? Speravi che fossero i tuoi servi fedeli? Non ti bastavamo noi? Io ho intrecciato i colori del creato per crearti l'arcobaleno, ma tu avevi occhi solo per loro.” disse l'ultimo arrivato indicandomi, poi continuò:
“Avevi bisogno di altre voci che tessessero le tue lodi. Tu solo il santo, tu solo il signore, tu solo l'altissimo. Altre vite che strisciassero ai tuoi piedi, esseri su cui sentirti superiore. Sei un bambino viziato che gioca con una lente sul formicaio.”
“Attento a come parli figlio mio, è vero che la mia bontà non ha limiti, ma bada bene, tu resti e sarai sempre frutto di una mia scelta e in quanto tale succube della mia volontà. Sei stato il primo, il più bello, ma sempre e comunque una creazione, una parte di me e per questo inferiore, modera quindi il tuo linguaggio.”
Il prete si alzò, in piedi arrivava al metro e ottanta e guardava dall'alto in basso l'uomo bruno che gli stava di fronte. Lo superava di qualche centimetro. Il suo viso era palesemente alterato dall'ira.
“Ma sentiti vecchio, ti ricordi mica quei sette peccati che tanto condanni? Non ti sembra che tu stesso sei l'incarnazione di uno di quelli? Superbo e arrogante al punto di arrivare a cacciarmi dalla mia casa per aver detto la verità, per averti detto una cosa giusta che tu stesso sapevi. Mi hai tarpato le ali perché il peso della giustizia e il senso di colpa erano un fardello troppo grande per te.”
“Taci maledetto, taci immondo”
Avevo smesso di capire cosa stava succedendo, ero certo di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliatissimo. Volevo alzarmi e fuggire. Una strana forza mi teneva inchiodato alla panca e per quanto mi sforzassi non un singolo muscolo rispondeva ai miei comandi.
“Dillo il mio nome padre o non ne hai il coraggio? Hai paura di nominare colui che ha portato la luce anche nelle tue cieche convinzioni?” l'uomo aveva un'espressione di assoluto disgusto stampato sul viso. Fissava con aria di sfida il prete, prese fiato e riprese il discorso.
“Io ho trovato rifugio in mezzo agli esseri che odiavo, ho imparato a godere dei loro trionfi a gioire della loro libertà. Guarda lui.” disse puntandomi un dito.
“Ha rubato, ha desiderato la roba d'altri e la loro donna, ti ha nominato e maledetto invano, ha ucciso eppure è sicuro della sua purezza ed anche io lo sono. Lui è andato oltre, ha aperto gli occhi. Non ti riempe di lodi, non ti stima, sa quello che sei e non ti teme.”
“Ora basta verme schifoso! Lucifero, hai il coraggio di offendermi qui in casa mia?! Tu sei sempre stato un traditore, con i tuoi falsi consigli hai ucciso tuo fratello, mio figlio Gesù, per colpa tua Azasel è imprigionato nelle profondità della terra. Michele deve allenare orde e schiere per contrastarti, ma ora basta! Tu hai sfidato la perfezione! Io sono superiore a tutte le cose, a tutti gli esseri di questo universo, io sono Dio e la mia parola è legge!”
schioccò le dita e in lampo l'uomo sparì. Un vento fortissimo entrò dalla porta d'ingresso. Mi voltai per vedere cosa stesse accadendo. All'esterno il cielo era nero, senza sole ne stelle. La terra emanava una luce rossastra come se bruciasse. Sentiva urla provenire da ogni dove. Sentii una presenza accanto. Il prete era affianco a me e mi fissava.
“Questa è la fine del mondo figliolo, diciamo che siete stata una prova, non posso dire che abbia fallito poiché tutto ciò che faccio è perfetto, ma c'erano delle cose da mettere a punto, diciamo.”

Una luce calda mi circondò e mi ritrovai in un palazzo bellissimo di un candore celestiale. Un angelo dai capelli rossi mi strinse in un caloroso abbraccio.
“Ti sei salvato fratello, benvenuto nella gloria di nostro Signore, ecco per te il paradiso. Io sono Gabriele vieni e ti mostrerò la strada.” Guardai le sue ali fiammeggianti.
“Dove è un bar, devo bere un goccio.” dissi sorridendo. Ero salvo e qualcuno aveva riconosciuto i suoi errori.


Su Vincenzo Cioffi
Originario di Vico Equense. La passione per la scrittura gli deriva da un amore senza limiti per la lettura. Era ed è un lettore sfrenato, ma a un certo punto leggere non gli è più bastato. Voleva creare un proprio mondo, con i suoi personaggi e le sue regole. Negli anni ha cercato di affinare le proprie capacità confrontandosi con amici che condividevano la sua stessa passione.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.