Squarci | mercoledì 27 giugno 2012

Valerio Bruner

In salute e in malattia...

In salute e in malattia, finché morte non vi separi

“Ho appena ritirato le analisi Fred. Non vanno per niente bene.”
Non aveva nemmeno varcato la soglia di casa e già rompeva le palle. Si tolse il cappotto da trecento bigliettoni che le avevo regalato per Natale – l’unica volta dopo tanti anni in cui si era limitata a sorridere e tenere la bocca chiusa – lo ripose delicatamente sulla poltrona e venne a sedersi accanto a me con i risultati delle analisi in mano.
“Cos’è che non va stavolta?” le chiesi con il tono di chi conosceva già la risposta. Erano anni ormai che mettevamo in scena quella commedia.
“Come cosa non va? Tutto non va! Hai i trigliceridi e il colesterolo alle stelle! Ha detto il Dottor Burns che se non la smetti di ingozzarti come un maiale non vivrai ancora per molto!” mi urlò in faccia Rosie, la mia dolce mogliettina, con quella voce che mi dava gli incubi da un po’ di tempo a quella parte.
“Dai tesoro lo sai che i dottori esagerano sempre. Secondo il Dottor Burns sarei già dovuto essere morto da un pezzo e invece sono ancora qua vivo e vegeto” le dissi con il sorriso più falso che si potesse mostrare alla propria metà. Non la sopportavo più, la sua sola presenza mi metteva angoscia.
“Sì certo come no. E sì tanto lo sappiamo che sei un dottore! E io che mi preoccupo anche per te! Ma sì, mangia, ingozzati fino a scoppiare brutto porco egoista che non sei altro! E quando scoppierai a me chi ci pensa?” e scoppiò in lacrime coprendosi la faccia con le mani. Lo sapevo benissimo perché piangeva e non era mica per la mia salute. Si stava di sicuro chiedendo come avrebbe fatto a rinnovare il suo guardaroba una volta che il vecchio Fred Bauer avesse tirato le cuoia.
“Sai che ti dico Fred? Stasera non ho voglia di cucinare per te. Arrangiati da solo, io me ne vado da Morag a dormire!” sbraitò mentre riprendeva il giaccone e sbatteva la porta di casa uscendo.
Ah pace finalmente, serenità! Spensi la televisione - tanto grazie a Rosie e alle sue lamentele il film era bello che finito - mi alzai dal divano e andai a vedere cosa ci fosse in cucina da poter mettere sotto i denti. Cucinare per me, puah! Il frigorifero di casa mia era il regno del cibo “apri e mangia” che mia moglie, la grande cuoca, comprava ogni settimana al discount. Era passata una vita dall’ultima volta che avevo mangiato una vera bistecca. A stento ne ricordavo il sapore. Rosie e le sue fissazioni sul mangiar sano e poco. La odiavo.
Ma non era sempre stato così, una volta posso azzardarmi a dire che l’amavo… beh magari non proprio, ma di certo le volevo bene. Ci eravamo sposati nel 1962 dopo ben dieci anni di fidanzamento – la sua era una famiglia all’antica che credeva nelle leggi del matrimonio. Per fortuna i suoi genitori avevano avuto il buon senso di crepare poco dopo che io e la loro amata Rosalie eravamo convolati a nozze. In principio era stato tutto perfetto: avevamo scelto casa insieme a pochi minuti da Manhattan, andavamo a fare la spesa tutti i sabato mattina e la domenica organizzavamo i barbecue ai quali partecipava tutto il vicinato. E che pranzi che mettevamo su! Io ero l’addetto alla brace mentre lei si occupava del resto. “Siamo la classica coppia felice americana” pensavo mentre bevevo una Bud ghiacciata e rigiravo quelle succulente costolette di maiale. Tutto andava a gonfie vele, anche la nostra vita sessuale, sebbene non potessimo avere figli. Forse era stato allora che qualcosa era cambiato in Rosie, trasformandola nella vecchia strega che era diventata.
Ricordo che era rientrata a casa dirompendo in un pianto isterico perché il Dottor Patterson le aveva detto che era sterile, dopo l’ennesima volta che avevamo provato ad avere un bambino. “Non preoccuparti, amore” le avevo detto abbracciandola forte “andrà tutto bene. Vivremo felici io e te. Tu avrai me e io te per sempre.” Maledetto il giorno in cui glielo dissi. Avrei dovuto scappare a gambe levate giù verso la California. Niente andò bene e sprofondammo nel baratro dove ci trovavamo adesso. Per cominciare mi aveva proibito di fumare – dapprima solo in casa, poi in qualunque luogo del creato e se mi trovava con una sigaretta in bocca volavano piatti e bicchieri – poi aveva smesso di cucinare trasformando casa nostra nel veliero di “Billy Bud – Il Pirata del Surgelato”, erano finite le nostre uscite in giro per Manhattan e cosa peggiore aveva troncato di netto la nostra vita sessuale.
“Dal momento che non possiamo avere figli è inutile provarci” aveva sentenziato una mattina mentre facevamo colazione “e poi il sesso è fatto solo per procreare, altrimenti è fornicazione.” E tanti saluti alle scopate sul divano di casa mentre Bob Dylan cantava alla radio. Quello era stato il colpo più duro.
E così avevo iniziato a mangiare, ad ingozzarmi sempre di più fino a quando non ero diventato un maiale obeso che non riusciva neanche più a fare le scale senza che gli venisse l’affanno. Ma in fondo era l’unico piacere di cui Rosie non mi aveva ancora privato e avevo intenzione di sfruttarlo il più a lungo possibile. Adoravo tutte quelle barrette al cioccolato fondente e caramello, i tortini al latte ricoperti di glassa alla fragola, le ciambelle ripiene di crema grosse quanto la testa di un uomo. E poi gli snack: patatine, pop-corn al burro, nachos e doritos piccanti accompagnati da salse e salsine varie, il tutto innaffiato da litri di Budweiser e Coca-Cola. Era un piacere quando tornavo a casa dalla banca e mi stravaccavo sul divano sorseggiando una bibita ghiacciata e mangiando cremini al pistacchio – i miei preferiti – guardando il telegiornale in attesa che Rosie tornasse da casa di Morag e mettesse qualcosa nel microonde. E ovviamente anche la cena, dal momento che la mia dolce consorte aveva appeso le pentole al chiodo, era un trionfo di cibi ipercalorici già pronti, che avevano sì il doppio delle calorie, ma erano dannatamente buoni. Ero persino diventato il migliore amico del cassiere del KFC a due isolati da casa mia. Quando mi vedeva arrivare già sapeva quello che gradivo: menu da otto pezzi di pollo con fagioli alla messicana e corn on-the-cob come contorno.
Purtroppo alla vecchia arpia non era sfuggito nulla delle mie abitudini alimentari. Mi aveva lasciato fare per un po’ a crogiolarmi tra bibite gasate e frittura, poi un bel giorno mi ero trovato il Dottor Burns che bussava alla mia porta. Con gli occhialini tondi che gli scivolavano sul naso e l’espressione di un tronfio pater familias, mi aveva obbligato a farmi le analisi del sangue per sincerarsi della mia salute. Ovviamente i valori erano emersi completamente sballati e il maledetto dottore del Bellevue Medical Center, con il sostegno incondizionato di mia moglie, aveva sentenziato che dovevo assolutamente mettermi a dieta. Dal momento che di smettere di mangiare non avevo la benché minima voglia, ci pensava Rosie a ricordarmi quanto grave fosse la mia situazione.
“Hai sentito cosa ha detto, no? Devi smetterla di rimpinzarti o morirai!” mi ripeteva ogni maledetto giorno quando mi vedeva aprire il frigo o la dispensa con la coda dell’occhio.
“E stai leggendo per la miseria! Continua a farlo e smettila di monitorare tutto quello che faccio. La vita è mia e non mi toglierai anche questo, ficcatelo bene in testa!” le urlavo mentre scartavo un croccantino al miele e cannella. Ma poi lei iniziava a piangere e a disperarsi, dicendo che mi amava e non voleva perdermi, che non ce la avrebbe fatta senza di me e così via. Allora cercavo di calmarla dimostrandomi affettuoso e comprensivo, ma solo per evitare che ricominciasse tutto daccapo. Quel teatrino era andato avanti per un anno ma lei ancora non si era rassegnata.
“Non c’è rimasto quasi niente qui dentro per la puttana!” imprecai mentre sbattevo la porta del frigo e spalancavo quella della dispensa “Nemmeno un fottuto cremino, una barretta dolce, niente!” Era chiaro che aveva deciso di farmi morire di fame. Disperato mi guardai intorno alla ricerca di qualcosa di commestibile che non fossero quelle schifose verdure che mia moglie ogni sera cuoceva a vapore. Lei e tutte quelle dannate idiozie sul cibo dietetico e salutare. Puah! Che avrei dato per una succulenta bistecca alla brace, il sugo caldo che mi sarebbe colato dalle labbra mentre ne addentavo un pezzo…..
Era passata più di un’ora da quando se ne era andata sbattendo la porta, ma ero più che certo che stesse per rincasare. Sperai almeno che mi avesse lasciato in pace perché ero nervoso come una bestia affamata e non ero in vena di prediche, tantomeno le sue. Tornai sconfortato nel salotto e mi stesi sul divano cercando di non ascoltare lo stomaco che brontolava per i crampi della fame. “Eccola che torna” sentii i passi che scricchiolavano sulla veranda e la chiave che girava nella serratura. La strega di Salem era tornata.
“Ho parlato con Morag e anche lei è d’accordo con me. Ha detto che se non la smetti di mangiare a sbafo, tra un po’ non potrai più nemmeno alzarti per andare al bagno! Sai che spettacolo penoso saresti con un catetere appeso all’uccello per non farti bagnare le brache! E sai che puzza! Basta domani chiamerò di nuovo il Dottor Burns e lui ti obbligherà a metterti a dieta!” Cristo non aveva nemmeno messo piede in casa.
“Ormai sono stanca Fred, non ce la faccio più a ripetermi” disse mentre andava in cucina “ma il Signore ha detto di essere altruisti e pensare al prossimo. Lì sull’altare giurai di prendermi cura di te in salute e in malattia e io…..ma che cosa stai facendo Fred?! A-a-a-Aiuto!”
Fu una sensazione talmente liberatoria serrarle le mani attorno a quel collo esile e rinsecchito e stringere, stringere sempre di più fino a quando gli occhi le schizzarono fuori dalle orbite e smise di dimenarsi.
Dopo tanti anni quella sera assaporai di nuovo il dolce sapore della carne, fresca e succosa, anche se un po’ dura da masticare. “Ti amo mia dolce Rosie” dissi osservando una costoletta e portandomela alla bocca. Che sapore delicato aveva.




Su Valerio Bruner
Nato a Napoli nel 1987, si è laureato in “Lingue e Culture Comparate” presso l'Università di Napoli "L'Orientale". Interessato alla letteratura di ogni tempo e di ogni luogo, scrive poesie e racconti. È appassionato di cinema, di blues e di Bruce Springsteen. Attualmente scrive per le sezioni Esteri (Nord America) e Cultura per “il Levante” di Napoli. Scrittore di poesie e racconti, "La Ballata del Drago e del Leone" è il suo primo testo teatrale.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.

La Ballata del Drago e del Leone, di Valerio Bruner (Gli Ibischi, 2013)