Squarci | giovedì 21 giugno 2012

Vincenzo Cioffi

Il destino è fatto di coincidenze

Camminava svelta, una passo dietro l'altro, veloci e precisi. Seguiva la strada che a sua volta costeggiava l'andare del fiume. Il vento sferzava la sua faccia, le attaccava i capelli alla guance arrossate dal freddo, li attaccava alle labbra. Camminava piegata, con una mano a mantenere l'orlo della gonna che le si appiccicava alle gambe e l'altra a tenersi la sciarpa, con le punte sospese dietro di lei che frustavano l'aria. Il vento sollevava una miriade di foglie morte dell'autunno passato che si mescolavano alla rena della riva. Dai turbini di vento si staccavano ramoscelli che di tanto in tanto la colpivano, sembravano bastonate sulla sua pelle candida e delicata, la tempesta era implacabile. Il fiume gorgogliava promesse di onde ben più grandi degli argini che lo contenevano. Aumentò il passo, la stazione non era poi così lontana; le raffiche rallentavano il suo incedere, ma quasi a sfidarne la potenza i suoi passi si sveltivano. Vide formarsi veri e propri tornado in miniatura che inglobavano foglie e sabbia portandoli verso il cielo.
Guidava bene, la macchina filava veloce e la levetta del contagiri non scendeva mai al di sotto dei 120. La serata lo aveva messo di buon umore, l'alcool nella sua testa lo faceva sentire immortale. L'aerodinamicità dell'auto fendeva la resistenza del vento, come un coltello che affonda in un panetto di burro caldo. Il fiume rifletteva i suoi fanali in mille guizzi. Non c'era una anima su quella strada la sera. Il suo piede premette l'acceleratore e la macchina rispose balzando in avanti, filava nella notte e il rombo era disperso nel boato del vento. Si frugò le tasche con la mano, trovò le sigarette, ne pinzò una ben stretta con le labbra; gettò il pacchetto sul sediolino; tastò il cruscotto per cercare l'accendisigari e lo premette con una forza esagerata.
L'uomo sulla sua sedia aspettava, guardava il vento scuotere gli alberi spogli, ascoltava il fiume gemere sotto la spinta delle raffiche e aspettava. Il fumo del suo sigaro saliva in volute grigio dense e avvolgeva nelle sue spire il lampadario. Lasciò cadere la cenere sul pavimento, contrasse la mascella e aspirò un'altra grande boccata, di nuovo lo soffiò fuori e un nuovo serpente si avvolse verso il soffitto di quella casa.
Affrontò la curva con la tecnica di un pilota, diede un leggero colpo col freno prima e poi tirò il motore a filo di gas mentre curvava lo sterzo. Il rettilineo si aprì ai suoi occhi lungo e buio. Pigiò deciso sul pedale e vide, di risposta, il contagiri salire: 130,140.
Le sembrava che quella strada non finisse mai. Le facevano male i polpacci e iniziava ad accusare una certa stanchezza. I tacchi le impedivano di andare più veloce. Alzò rapida una gamba e sfilò una scarpa. Poggiò il piede nudo sulla strada ed un brivido di freddo le risalì lungo la schiena.
Alzò l'altra gamba, in quel momento una sferzata di vento la sbilanciò, fece tre saltelli su un piede e riuscì a togliersi la scarpa. Una seconda sferzata le gettò una manciata di sabbia negli occhi, barcollò all'indietro, il suo piede trovò la fine del marciapiede e in attimo fu stesa sull'asfalto a fissare le stelle.
Il contagiri segnava 160, il fascio di luce dei suoi fari fu interrotto da qualcosa steso sulla strada. Inchiodò. Il fischio dei freni tagliò l'aria come un ruggito. La frustata lo proiettò verso lo sterzo e di ritorno lo impattò sul poggiatesta.
Sentì un fischio nella notte e vide la sagoma di qualcosa che si stagliava in una luce elettrica puntata nei suoi occhi. La macchina la evitò scartando a destra all'ultimo istante. Sparì nell'oscurità con l'odore di copertone bruciato. Si rialzò visibilmente scossa, la caviglia e la schiena le dolevano oltre ogni modo. Montò sul marciapiede e riprese la strada con passo incerto. Davanti a lei c'era un bivio, cercò di mettere a fuoco i cartelli. Quello in salita diceva “Heaven Drive”, mentre sulla discesa c'era “Hell Avenue”. Scelse la prima. Risalendo un po' la strada una casetta le si parò davanti, aveva una finestra illuminata da una luce candida, quasi ipnotizzata andò verso la porta. Prima di potersene rendere conto aveva dato due tocchi veloci al battente. Una voce quasi familiare disse:
“Avanti.”
Lei esitò. Poi di nuovo:
“Entri!”
La luce calda la avvolse, di fronte a lei una figura maschile era seduta ad un vecchio tavolo. Le era familiare, come un vecchio zio che si rincontra dopo tanto tempo.
“Siediti!”
Fu quasi un ordine. Si lasciò cadere stremata su una sedia. L'uomo estrasse con calma un portasigari d'argento e ne estrasse uno e con una specie di ghigliottina in miniatura lo spuntò. Il moncone cadde sul tavolo e rotolò sul pavimento.
“Ho avuto un incidente...”
Silenzio di lui.
“Sono caduta da un marciapiede e una macchina mi ha quasi travolta.”
Niente.
“Camminavo lungo il fiume e i tacchi mi davano fastidio, mi sono piegata a togliere le scarpe e una raffica di vento mi ha sbilanciato.”
L'uomo espirò una voluta di fumo denso. La casa odorava di caffè tostato e tabacco.
“Sono stremata, posso, per cortesia, riposare un po'?”
L'uomo tirò una boccata e si voltò verso una porta alle sue spalle.
“Pietro! Pietro!”
La voce uscì dalla sua bocca insieme al fumo. La porta si spalancò e una luce candida la investì. Si sentì in pace con se stessa. Piano si sollevò dalla sedia e si diresse verso la porta illuminata, accompagnata da un segno di assenso dell'uomo. L'ultima cosa che vide fu il suo corpo steso sull'asfalto in una posa innaturale, una grossa macchina grigia ferma accanto a lei e un giovane con le lacrime agli occhi, in lontananza i lampeggianti di un'autoambulanza che si avvicinava. A momenti scoppiava a ridere davanti a quella scena. Poi San Pietro spalancò il cancello e lei, sorridendo, entrò.


Su Vincenzo Cioffi
Originario di Vico Equense. La passione per la scrittura gli deriva da un amore senza limiti per la lettura. Era ed è un lettore sfrenato, ma a un certo punto leggere non gli è più bastato. Voleva creare un proprio mondo, con i suoi personaggi e le sue regole. Negli anni ha cercato di affinare le proprie capacità confrontandosi con amici che condividevano la sua stessa passione.

Sulla rubrica Squarci
Se la scrittura si serve di aghi e coltelli, se punge e lacera, se ogni pagina apre un varco in mezzo all'ovvio e al non detto, se la ragione ha bisogno di attimi di illucidità, se ogni testo si apre su un paesaggio interiore, se è un buco della serratura da cui spiare il mondo, se duole, se è una lama nella carne, se è una trama interrotta in un punto a caso, se la narrazione si spezza come un canto, se è una dissonanza, se semplicemente siete curiosi di sapere chi siamo. Estratti, ferite, fenditure di scrittura, un modo per sentire i nostri silenzi e leggere tra le righe di ciò che abbiamo in cantiere.